Le conoscenze di diritto sostanziale e processuale sono un elemento imprescindibile che connota l’avvocato e la sua professione.
E dunque dovremmo poterle considerare un dato acquisito anche per gli avvocati che vogliano diventare accompagnatori alla mediazione o a qualsivoglia altro strumento alternativo per la risoluzione dei conflitti.
Non è un caso che nelle Corti statunitensi gli avvocati che vogliano diventare “neutri”[1] del panel giudiziario, svolgano percorsi differenziati afferenti ad abilità che nulla hanno a che spartire con il diritto.
Nel Northern district of California ad esempio ai mediatori avvocati si richiede di aver svolto attività da procuratori per almeno 7 anni e necessita loro inoltre la conoscenza del contenzioso civile in un tribunale federale.
Gli anni aumentano a 15 se all’avvocato è richiesto di fare il valutatore neutrale.
In aggiunta a ciò i “neutri” devono possedere spiccate abilità di base[2]:
- saper comunicare chiaramente,
- saper ascoltare in modo efficace,
- saper facilitare la comunicazione tra tutti i partecipanti,
- saper proporre l’esplorazione di opzioni di accordo che trovino il consenso di tutte le parti,
- ed in ultimo saper condurre se stessi in modo neutrale.
Queste abilità dell’avvocato mediatore dovrebbero essere patrimonio di ogni uomo perché in fondo la nostra vita è essa stessa comunicazione e negoziazione continua.
Ma a maggior ragione dovrebbero essere patrimonio di ogni avvocato o di ogni professionista della consulenza a prescindere dalle sue scelte ed ideologie sulla professione.
La conoscenza di queste abilità, infatti, può trovare esplicazione nella pratica professionale anche per coloro che non pensino affatto alla mediazione civile e commerciale.
Il Consiglio Nazionale Forense sta spingendo[3] da ultimo per portare nel nostro paese la negoziazione assistita.
In altre parole si fa riferimento alla negoziazione partecipativa che a fine del 2010 è stata varata in Francia con la previsione di assistenza per i soli avvocati[4].
L’istituto prende avvio da un convenzione di procedura partecipativa[5] che è un accordo[6] mediante il quale le parti di una controversia che non ha ancora visto l’intervento di giudice o di un arbitro si impegnano ad operare congiuntamente ed in buona fede per risolvere amichevolmente loro controversia.
L’accordo è a tempo determinato[7] e determina l’irricevibilità da parte del Tribunale della controversia, salvo che per gli atti urgenti[8].
L’accordo rinvenuto può essere invece omologato e divenire titolo esecutivo.
La negoziazione partecipativa presuppone che i legali abbiano una buona conoscenza delle regole della negoziazione ed infatti, la legge prevede che se non si trovi un accordo, le parti possano adire il giudice senza la necessità di una preventiva mediazione[9].
Il legislatore francese parte cioè dal presupposto che se la controversia è affrontata con dovizia da preparatori esperti e condotta da negoziatori esperti, la mediazione potrebbe risultare sovrabbondante qualora essi non riescano a concludere l’accordo.
Tale convinzione appare a chi scrive discutibile, perché l’esigenza del mediatore nasce proprio nel momento in cui le parti o i loro rappresentanti non riescano a trovare una soluzione che porti al comune soddisfacimento.
Ad ogni modo il principio che mi interessa qui sottolineare e che è sottinteso nelle pieghe della norma è un altro: una procedura di ordine negoziato necessita di adeguata preparazione e negoziazione per tradursi in un accordo.
La procedura di convenzione partecipativa non coincide, in altre parole, con la semplice omologazione della transazione tra avvocati che è presente peraltro da parecchi anni in diversi paesi europei[10].
È qualcosa di profondamente diverso, pena, in difetto, l’inutilità di mettere in campo questo nuovo congegno giuridico.
La negoziazione partecipativa presuppone nozioni[11] che l’avvocato non impara solitamente sui banchi universitari e che sono differenti dal predetto bagaglio di diritto procedurale e sostanziale.
Unitamente alla mediazione civile e commerciale la negoziazione partecipativa prende a piene mani le sue regole dalla negoziazione e dunque l’accompagnatore alla procedura di mediazione, piuttosto che l’assistente nella procedura partecipativa non si possono permettere di ignorarle.
Certo questo percorso determina in primo luogo un cambiamento di mentalità.
Saper ascoltare in modo efficace significa che il legale[12] prenda in considerazione l’eventualità di cambiare il suo modo di fare consulenza.
La tradizionale consulenza ha come effetto finale la “depurazione” dell’esposizione dell’assistito nella prospettiva di dover affrontare un processo.
Al giudice, infatti, non possono che essere sottoposte posizioni giuridiche ed i legali sono abituati da sempre a formulare le pretese dei loro clienti in termini di diritti od interessi riconosciuti dall’ordinamento (diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi diffusi ecc.).
In relazione a tali diritti od interessi riconosciuti dall’ordinamento il cliente viene poi considerato come creditore o debitore, proprietario od inquilino, mutuatario o mutuante e così via.
La negoziazione e dunque l’accompagnamento ad un procedura invece considera sia le posizioni giuridiche canoniche, sia i desideri, i valori, i bisogni, le credenze del cliente che ordinariamente il legale non indaga e che tantomeno rappresenta in giudizio.
In negoziazione inoltre le caselle del rapporto giuridico (debitore, creditore, proprietario, locatore, conduttore ecc.) possono mutare e comunque perdere di significato.
Il legale è inoltre abituato tradizionalmente a:
a) considerare in prima battuta il punto di vista del cliente,
b) secondariamente i fatti che derivano dalle carte e che attengono al passato della controversia (e talvolta al presente),
c) a tentare tra di essi una conciliazione,
d) e quindi ad applicare al prodotto le norme e la giurisprudenza per sviluppare ed articolare una tesi difensiva che in qualche modo rafforzi il punto di vista di partenza.
Il legale accompagnatore non lavora solo con l’esposizione del suo cliente, ma con quella di tutte le parti coinvolte: il punto di vista iniziale, precipuo oggetto di cura dell’attività difensiva, può dunque venir abbandonato qualora ciò si riveli conveniente per il cliente.
Ciò può avvenire anche nel processo, ma il mutamento non ha solitamente di mira l’interesse altrui e può comunque essere operato solo nella fase iniziale del processo.
In negoziazione non ci sono che i limiti che appongono le parti.
I fatti passati rivestono poi un significato marginale, perché ciò che conta in negoziazione è soprattutto il presente ed il futuro dei rapporti tra le parti: il passato può al limite essere anche “cambiato” se ciò si rivela conveniente per coloro che negoziano.
Il legale accompagnatore non ha la necessità primaria di sviluppare una narrazione che sia coerente con un impianto normativo.
La priorità è quella di trovare la migliore soluzione che possa soddisfare il suo cliente e nel contempo le esigenze della controparte.
Una volta trovata una o più soluzioni che soddisfino entrambe le parti del rapporto si porrà naturalmente il problema della legalità della scelte operate, ma ciò riguarderà l’intero nuovo rapporto che si rinvenga tra le parti.
Questa prospettiva impone che muti ciò che l’avvocato accompagnatore ha necessità di “ascoltare” durante l’incontro col suo cliente.
Potrebbe, infatti, non essere produttivo focalizzare l’attenzione esclusivamente sugli elementi della fattispecie che comportano una valutazione in termini di ragione o torto.
Perché ci sono elementi positivi che sono comuni alle parti come l’amicizia, la stima professionale ecc., che possono costituire una base per il presente ed il futuro dei rapporti e dunque per spegnere la controversia e trasformarla in una occasione di crescita.
Ogni relazione umana ha una testa ed una croce e il conflitto le tiene unite come in una moneta: sta ai comunicanti trasformare positivamente, ossia verso la testa, il magnete conflittuale[13].
Se tanto per fare un esempio Tizio e Caio stanno controvertendo su un contratto di appalto potrebbe essere poco utile per l’avvocato di Tizio verificare che Caio appaltatore abbia o meno rispettato gli obblighi contrattuali, mentre potrebbe dare una svolta alla vicenda l’informazione che il suo cliente ha da effettuare altri lavori nella sua proprietà, opere che se non ci fosse stata controversia, avrebbero potuto essere realizzate dall’appaltatore.
Nella consulenza tradizionale il cliente pone poi di solito un quesito e l’avvocato fornisce una risposta scritta od orale.
La risposta ha di solito carattere tecnico sotto vari profili (oggetto, linguaggio, formalità ecc.). Conscia di tale evidenza L’American Bar Association detta all’avvocato una regola d’oro in materia di consulenza.
Nel rendere la consulenza l’avvocato “può riferirsi non soltanto alla legge, ma alle altre considerazioni come ai fattori morali, economici e sociali e politici, che possono rilevare per la situazione del cliente”[14].
Il commento alla regola ci spiega che:
- un consulto legale formulato in termini strettamente giuridici può avere scarsa utilità, specialmente quando considerazioni pratiche, come il costo o gli effetti sulle persone, sono predominanti;
- un cliente può chiedere espressamente od implicitamente un consulto strettamente tecnico; quando tale richiesta viene effettuata da un cliente esperto in questioni legali, l’avvocato può accettare e prenderlo alla lettera. Quando tale richiesta viene effettuata da un cliente inesperto in materia giuridica, tuttavia, la responsabilità dell’avvocato come consulente può ricomprendere che egli indichi che possono essere coinvolte altre considerazioni rispetto a quelle strettamente legali.
E dunque per l’American Bar Association in primo luogo il contenuto giuridico della consulenza che noi in Italia usualmente diamo per centrale, potrebbe rivelarsi di scarsa utilità e in ogni caso il diritto dovrebbe essere inserito in una cornice più ampia.
Il più delle volte accade tra l’altro che il cliente non professionista del diritto comprenda solo una piccola parte di quanto ha ricevuto in consulenza.
Ma la preoccupazione primaria del cliente è in fondo quella che l’avvocato si prenda in carico il problema e quindi nella maggior parte dei casi il cliente si “accontenta” di quel poco che ha compreso e ritenuto.
Tale atteggiamento abbastanza usuale può dare luogo nel tempo a malintesi che possono minare gravemente il rapporto fiduciario.
I malintesi peraltro si verificano anche qualora l’avvocato si sforzi di utilizzare un linguaggio alla portata del cliente perché incidono inevitabilmente sul messaggio alcuni elementi:
- i cosiddetti filtri (problemi fisici e psicologici, soggettività[15], sessualità[16], filtri neurologici[17] e sociali[18]) propri dell’emittente e del ricevente,
- ed alcune distorsioni del messaggio comunicativo (generalizzazioni che nascondono rabbia e rancore, aspettative mancate ecc.).
Dobbiamo sempre tenere presente che quando comunichiamo più del 50% della comunicazione è visiva (cioè dipende dall’aspetto della persona che parla), circa il 40% è relativa al tono di voce (a come il parlante si esprime) e quasi il 10% è relativa al contenuto (a quello che il parlante ha realmente detto).
Da ciò consegue che il 90 % della comunicazione potrebbe prestarsi all’equivoco.
Circa il contenuto si deve essere inoltre consapevoli del fatto che, proprio per la presenza dei filtri e delle distorsioni della comunicazione, se Tizio vuol dire il 100% in realtà riesce a dire il 70%.
Caio che ascolta a sua volta recepisce il 50%, capisce il 30% e ricorda il 20%.
Da tutto ciò consegue che un mero e semplice ascolto delle parole, specie se specialistiche, comporta davvero una comprensione molto ridotta del messaggio comunicativo.
Saper comunicare chiaramente, significa dunque per l’avvocato prendere massima cura di come viene recepito il messaggio dal cliente.
Per far ciò non basta semplificare il proprio linguaggio, come si potrebbe credere.
Bisogna porre attenzione al verbale, paraverbale e al linguaggio del corpo proprio e di chi si affida allo studio.
Dalla postura, dallo stazionamento del respiro, dal tono e dal ritmo della voce e dai verbi utilizzati nell’esposizione, il legale potrà già ricavare indicazioni se il soggetto che si trova davanti sia visivo, auditivo o cenestesico (VAK[19]).
Ognuno di noi privilegia un determinato canale (visivo, cenestesico, auditivo) per esprimersi.
Ogni canale VAK comporta l’uso di un particolare lessico e di un peculiare uso della voce: se l’avvocato ad esempio fosse auditivo per natura parlerebbe ad una velocità e ad un tono medio, e utilizzando parole[20] e locuzioni[21] attinenti ai suoni e rumori; ma se incontrasse un cliente visivo dovrebbe utilizzare parole[22] e locuzioni[23] che hanno a che fare con le immagini ed avere un eloquio rapido a tono abbastanza alto, diversamente il suo interlocutore farebbe una gran fatica per comprenderlo.
Tale indicazione peraltro vale anche per l’attività di udienza dell’avvocato e per il confezionamento degli atti processuali: se il giudice è cenestesico, l’avvocato dovrà parlare con tono di voce basso e lentamente ed utilizzare parole[24] e frasi[25] che hanno a che fare con il senso del tatto e del gusto; l’utilizzo delle parole di riferimento comporta che il giudice legga i documenti difensivi con maggior piacere ed attenzione.
Peraltro ai diversi VAK corrispondono anche determinate posture che possono aiutare il consulente nella individuazione del canale del cliente, dell’avvocato, del giudice, del cancelliere e chi ne ha più ne metta.
Il visivo ha di solito una postura eretta, spalle alzate e collo proteso, l’auditivo tiene facilmente una posizione “telefono”(corpo e testa leggermente inclinata con la mano vicino l’orecchio) e le spalle sono poco incurvate, il cenestesico tiene una posizione più inerme: il corpo e testa sono perennemente orientati verso il basso.
La corretta individuazione dei VAK può poi aiutare a verificare, unitamente allo sguardo, se il racconto che il cliente fa è veritiero: non certo per poi accusarlo, ma per rassicurarlo del fatto che il rapporto fiduciario impone il più assoluto riserbo.
Ancora l’individuazione corretta dei VAK porta ad individuare a grandi linee le possibili personalità che appartengono una persona attraverso l’uso combinato con l’enneagramma.
L’esperienza ha insegnato allo scrivente che l’enneagramma è uno strumento che può rivelarsi assai prezioso per l’avvocato o in genere per il consulente.
Si tratta di un’antichissima dottrina forse formata in Caldea nella notte dei tempi e che nella organizzazione attuale dovrebbe risalire a Pitagora: essa individua 9 tipologie psicologiche a cui un uomo o una donna possono appartenere.
Il grande matematico le indicava solo coi numeri, mentre noi utilizziamo dizioni moderne: Perfezionista (tipo 1), Altruista (tipo 2), Manager (tipo 3), Romantico (tipo 4), Eremita (tipo 5), Scettico (tipo 6), Artista (tipo 7), Capo (tipo 8), Diplomatico (tipo 9).
Questo strumento si presta a diverse utilizzazioni tra cui la terapia, ma il suo uso non comporta certo che l’avvocato invada il campo dell’operatore psicologico.
Al legale accompagnatore è utile in quanto ad ogni tipologia sono gradite o sgradite appunto determinate domande oppure l’uso di determinate tecniche creative che possono essere di aiuto per allargare la base negoziale.
I VAK sono collegati a queste tipologie in questo senso: ogni personalità può possedere in situazione di stress (VAK A) un determinato VAK e non un altro; lo stesso possiamo dire in situazione di riposo (VAK E) che difficilmente si raggiunge in consulenza; ogni personalità non può mai avere un determinato VAK. Per cui in definitiva ogni VAK corrisponde a tre personalità (in ogni stato) che andranno indagate con le opportune domande[26].
Le domande in genere costituiscono la base della consulenza dell’avvocato accompagnatore perché servono ad individuare quali siano gli elementi principali in gioco: le carte, infatti, non raccontano che quello che è stato, non sempre identificano i desideri del cliente; addirittura accade spesso che il cliente non sappia che cosa vuole esattamente dal suo avvocato.
Le domande non sono mai neutre, né per chi le fa né per chi deve rispondere[27].
La domanda ipotetica o riflessiva, ad esempio va utilizzata con cautela: è gradita al perfezionista (tipo 1)[28], allo scettico (tipo 6)[29] e al romantico (tipo 4)[30]. Non è gradita se rivolta al manager (tipo 3)[31] e all’eremita (tipo 5)[32].
È da verificare, quando si consideri strettamente necessario, con le tipologie: capo (tipo 8), altruista (tipo 2), diplomatico (tipo 9) e artista (tipo 7).
In consulenza la decisione preliminare che incombe sul legale come su qualsivoglia professionista del resto, è quella di accettare o meno l’incarico, in poche parole di accettare chi si rivolge al suo studio come cliente.
Per prendere una decisione a proposito può essere importante l’analisi dei movimenti principali delle mani del nostro interlocutore.. Dalla gestualità il legale potrà, infatti, ricavare se il soggetto possiede una personalità cooperativa: ciò ha un senso soprattutto per l’uso dei mezzi di ordine negoziato che sono fondati essenzialmente sulla collaborazione delle parti, ma tale constatazione sarebbe comunque preziosa anche con riferimento allo sbocco contenzioso.
Ci sono poi soggetti che sono preda di un conflitto invischiato, ossia sostanzialmente vivono per litigare.
Spia di tale conflitto è ad esempio l’arrivo in studio con un ricco dossier di sentenze e documenti rinvenuti nelle sedi più disparate, il pretendere da subito di insegnare al legale quella che è la via migliore per affrontare la controversia.
Con tali soggetti qualsiasi percorso potrebbe rivelarsi problematico e bisogna andare cauti nel proporlo [33].
Una volta che il professionista ha sciolto la riserva in senso positivo è necessario verificare a che punto sia arrivato il conflitto tra l’assistito e potremmo dire per praticità la controparte.
Ci sono in altre parole da compiere valutazioni che non sono strettamente giuridiche circa lo strumento che potrebbe rivelarsi più idoneo e che non riguardano tanto la fattispecie sottoposta al professionista, quanto i soggetti coinvolti.
In particolare vi sono da combattere gli elementi in base ai quali il messaggio viene distorto.
Essi riguardano sia la comunicazione del legale sia quella del cliente.
Si badi bene che l’interazione tra due persone ha di regola come presupposto la circolarità: ciò che il legale afferma costituisce stimolo per la comunicazione del cliente che a sua volta costituisce risposta e stimolo per la comunicazione del legale e così via.
La distorsione della comunicazione inficia dunque tutto il rapporto come un gatto che si morde la coda.
Per rompere il circuito vizioso il legale ha a disposizione un mezzo formidabile che attiene sempre alle domande che può rivolgere al cliente.
Il modo di formulare le domande tuttavia non è mai neutro per il cliente, lo abbiamo detto.
Nel senso che ad ogni tipo di domanda si ottiene un determinato effetto[34].
Per verificare ad esempio se quanto racconta il soggetto è un dato oggettivo su cui il legale può lavorare, ovvero nasca da un pregiudizio o da una percezione selettiva, se non sia frutto di un malinteso o di emozioni temporanee (come rabbia e paura, che sono le più frequenti) o semplicemente di aspettative mancate[35], si possono ad esempio formulare domande aperte[36] e circolari[37].
Accade frequentemente che una persona si rivolga ad un avvocato in virtù della tattica del fatto compiuto[38], ossia sia arrivato al punto di ritenere che il dialogo con la controparte non serva ad alcunché.
E ciò in virtù appunto di una percezione selettiva, ossia della erronea convinzione basata su un atteggiamento isolato della controparte che la stessa gli sia ostile (ad esempio un mancato saluto, una risposta sopra le righe, una telefonata poco cordiale, ecc.).
Oppure può accadere che il cliente non abbia nemmeno provato a risolvere la sua controversia con il negoziato diretto.
Mentre in quest’ultimo caso l’avvocato ha un ampio margine di manovra, nella prima situazione il quadro si restringe perché gli studi dicono che siamo in una fase win-lose, ossia in una fase dove ormai ci si è convinti che l’unica scelta possibile sia quella di vincere contro un nemico.
Ma così come farebbe un buon mediatore anche l’avvocato può essere in grado di disinnescare le percezioni selettive tramite le domande opportune e senza giudicare quel che il cliente dice, poiché per questo ultimo ciò che riferisce assume i connotati della oggettività.
L’intento del legale è in relazione a ciò quello di separare il problema dalla persona del suo assistito e da quella della controparte, perché diversamente la questione non può essere affrontata in modo lucido.
Se le domande però non danno buon esito ed il soggetto rimane radicato sulle sue posizioni, i margini per un intervento efficace nell’ambito del negoziato si riducono.
Le tecniche creative rivestono poi un’importanza determinante per la preparazione di uno strumento di negoziato.
In ciò si percepisce la differenza abissale tra l’oggetto della transazione e l’accordo di mediazione.
Nello schema della transazione ciascuna delle parti rinuncia a qualche cosa; l’accordo di mediazione invece parte da presupposti opposti nel senso che la procedura è tesa ad incrementare le risorse in gioco.
Tale incremento si gioca sull’applicazione della migliore e più opportuna tecnica di creatività.
E siccome ogni tecnica comporta che i partecipanti si mettano in gioco completamente non è detto che vi possa essere sempre adesione all’utilizzo.
Ci sono tecniche che ad esempio partono da, quando addirittura non si traducono in un paradosso.
Per incrementare le vendite nei supermercati si è partiti a suo tempo dal presupposto paradossale che fosse il grande magazzino a dover pagare il cliente per l’acquisto effettuato.
In conseguenza di ciò quando andiamo al supermercato oggi riceviamo buoni sconto per la benzina, bollini per collezionare vari prodotti ecc.; tutto ciò aumenta la nostra propensione al consumo: se ad un cliente non interessano di frequente i buoni vengono assegnati al cliente successivo, perché questa strategia di marketing, basata – lo si ripete – sul paradosso, si è rilevata vincente.
Anche per l’utilizzo delle tecniche di pensiero creativo si dovrà tener conto della tipologia psicologica che ci si trova di fronte.
Formuliamo qui conclusioni con riferimento alle tecniche di più diffuso utilizzo: è chiaro che tutto quel che affermiamo in merito ha dietro lunghi anni di studio e di osservazione che non si possono esplicitare in un articolo divulgativo.
La richiesta di formulare/scrivere alternative, tipica delle mappe mentali, è gradita ai tipi: manager (tipo 3), perfezionista (tipo 1), diplomatico (tipo 9)[39], romantico (tipo 4)[40]e artista (tipo 7)[41]. Non è invece gradita al tipo eremita (tipo 5)[42] e allo scettico (tipo 6)[43]. Da verificare è invece con il capo (tipo 8) e l’altruista (tipo 2).
La tecnica dei 6 cappelli per pensare è gradita al tipo manager (tipo 3)[44] e al perfezionista (tipo 1)[45]. Non è gradita ai tipi: altruista (tipo 2)[46], romantico (tipo 4)[47], diplomatico (tipo 8)[48]. È da verificare con le tipologie: eremita (tipo 5) [49], capo (tipo 8), artista (tipo 7), scettico (tipo 6).
Un’attenta valutazione degli elementi extragiuridici dunque consentirà al legale di utilizzare il giusto canale sensoriale ossia di utilizzare il tipo di linguaggio, il tono ed il timbro più idonei ad essere compreso, di formulare le domande opportune, di scegliere le tecniche più idonee a allargare la base negoziale[50].
Per facilitare la comunicazione tra le parti di una controversia il legale deve saper saggiare il rapporto del cliente con la controparte.
Importante indice in questo senso è anche la coerenza tra le parole pronunciate dal soggetto riguardo alla controparte e gli atteggiamenti corporei.
Se Tizio ad esempio afferma di non avere risentimento nei confronti di Caio, ma mentre parla accavalla le gambe ed incrocia le braccia, l’informazione verbale non è conforme a quel che dice il suo corpo, e dunque il livello della disputa è diverso rispetto a quello che è stato rappresentato a parole.
La controprova che serva anche a comprendere se il soggetto esprima o meno con riferimento a cose e persone apprezzamenti genuini si può ottenere attraverso la valutazione degli sguardi e della mimica facciale[51].
Uno volta verificato lo stato soggettivo di una contesa, l’avvocato che ha approfondito le dinamiche del conflitto[52] sa che il mezzo che si sceglie per affrontarla non è indifferente[53] quanto ad opportunità e conseguenze; ed il cliente dovrà essere edotto in merito.
È più facile affrontare il negoziato quando le parti sono ancora in una fase di conflitto latente[54], disaccordo[55] e disputa o contrasto[56].
Assai più difficile è negoziare quando vi è estensione del contrasto in conflitto[57] o quando il cliente arriva a lite giudiziaria iniziata.
Si tenga sempre presente che quando il soggetto si rivolge all’avvocato parte già dal presupposto che non sia possibile un negoziato diretto.
Scegliere il negoziato comporta sempre dunque che il cliente sia messo in grado di affrontare al meglio le opinioni che non condivide.
Ci sono poi alcuni elementi che rendono improbabile una soluzione negoziata in quanto collegati o meno alla spirale indicata più sopra.
Così se il soggetto desideri affrontare le vie legali soltanto per stabilire un precedente giuridico, perché la lentezza della causa gli appare, magari anche erroneamente, più conveniente di un accordo, ovvero se il soggetto presenta una reale questione di principio[58] e si chiude in essa, se il suo unico desiderio è infine quello di provare la verità dei fatti.
Ma se si sceglie il giudizio il cliente dovrà sapere che c’è una fortissima probabilità che la controversia diventi uno scontro da vincere o perdere; che inizierà a costruire una “immagine del nemico” e a cercare alleati. Di qui il passo potrebbe essere breve per il lancio di attacchi diretti e personali: l’altra parte potrebbe diventare un problema e non più solo la questione oggetto del conflitto; il cliente, se ciò dovesse accadere, sentirà lesi i bisogni fondamentali di dignità e riconoscimento[59].
Potrebbe poi partire una spirale di minacce e contro-minacce; la versione estrema è quella dell’ultimatum[60]; le parti potrebbero perdere la capacità di iniziativa autonoma, nel senso che potrebbe essere il conflitto a possederli.
E tra un attacco e l’altro si potrebbe arrivare alla conclusione di mettere in conto di subire delle perdite pur di far male all’avversario[61]. Ed in certi casi purtroppo l’obiettivo potrebbe divenire l’eliminazione dell’avversario.
Ogni modello dunque prima ancora che conseguenze giuridiche implica conseguenze pratiche di massimo rilievo che vanno accuratamente soppesate.
Così come il mediatore non può forzare le parti di una mediazione a restare al tavolo, ma può comunque aumentare le possibilità di una partecipazione volontaria se è in grado di spiegare il suo ruolo ed il funzionamento della procedura[62], allo stesso modo l’avvocato non può in alcun modo costringere il cliente a fruire dei suoi servigi di accompagnatore[63], ma può far comprendere al suo assistito che una decisione ponderata circa la migliore forma di tutela transita il più delle volte da un’assistenza a tutto tondo.
L’assistenza inizia con la consulenza. Ed è dal setting che inizia la consulenza.
Per setting in senso lato s’intende un insieme strutturato di componenti multidimensionali: sapere, norme, poteri, rituali, spazi, strutture, architettonica, oggetti, tempi.
Il setting assume grande importanza in mediazione perché la procedura si fonda sul consenso; il mediatore deve conseguentemente adottare tutte le accortezze perché coloro che mediano si sentano a loro agio.
Ma anche il cliente di un professionista ha l’esigenza di entrare in un ambiente ove può affrontare la sua questione nelle migliori condizioni e del pari il legale ha la necessità di essere messo nella migliore condizione per verificare i diversi parametri che abbiamo visto in precedenza.
Tale verifica si impone come necessario antecedente per far comprendere al legale se e come essere utile a chi si rivolge al suo studio.
Il tradizionale parere giuridico reso da dietro ad una scrivania (spesso oberata dalle pratiche[64]) potrebbe peraltro rivelarsi poco funzionale al cliente dello studio legale.
Quanto a quest’ultima modalità della consulenza, si può rilevare che inconsciamente due persone sedute frontalmente tendono a dividere il tavolo in parti eguali come per una partita ideale e c’è il rischio che tendano ad assumere un atteggiamento competitivo e quasi di sfida[65].
E dunque è difficile che si instauri un rapporto di tipo collaborativo per la risoluzione della questione.
Inoltre si tenga presente che la comunicazione tra le persone, come abbiamo già fatto notare, non si incentra principalmente sugli aspetti verbali[66].
E anche gli aspetti verbali sono presi in considerazione nella maggior parte dei casi con una prospettiva non sempre utile, ossia per dire la nostra e introdurre l’argomento che ci preme o ci è stato evocato dalle parole dell’interlocutore[67].
Chi vuole comunicare in modo efficace con il proprio cliente dovrebbe invece parlare dopo aver ascoltato il verbale e seguendo il filo conduttore che l’interlocutore stesso gli suggerisce attraverso le sue reazioni non verbali[68].
La maggior parte della comunicazione che avviene in una interazione tra esseri umani dipende da, come abbiamo visto, dal paraverbale[69] e dal linguaggio del corpo; aggiungiamo ora il contesto[70] in cui avviene l’interazione e anche il silenzio[71], aspetto quest’ultimo che si rivela spesso preziosissimo.
Le persone adulte hanno però imparato a controllare abbastanza bene il proprio linguaggio del corpo al di sopra della cintola[72], e dunque chi si basasse soltanto su quello che emerge dal piano di una scrivania, acquisirebbe segnali che potrebbero rivelarsi non corrispondenti a ciò che prova o pensa il cliente veramente.
Le persone adulte, al contrario, non si curano dei segnali che vengono inviati dalla parte inferiore del corpo e non potrebbero nemmeno farlo pienamente, se lo volessero.
Quando ad esempio un messaggio visivo (che deve avere valore emozionale) arriva al talamo che è una sorta di centralino di smistamento dei messaggi nelle varie aree (visiva, linguistica ecc.), viene dirottato in primo luogo verso l’amigdala.
L’amigdala interviene se ritiene che l’evento assomigli ad un altro da lei censito. Successivamente il talamo invia il messaggio alla corteccia prefrontale che stabilisce se il comportamento dell’amigdala sia stato o meno corretto.
Il processo dura circa un secondo: se la reazione dell’amigdala non è corretta qualcosa però “scappa”, ossia il linguaggio del corpo.
Dallo “scontro” tra amigdala e corteccia prefrontale si produce cioè un brandello di azione originale che è quel che noi chiamiamo linguaggio del corpo.
Questi segnali sono dunque assai importanti per i consulenti perché sono i più “veri”, indicano quello che il soggetto sta pensando realmente.
In linea di massima possiamo dire che le espressioni del viso comunicano quello che la persona prova in un dato momento, mentre i movimenti del corpo fanno capire quanto è intensa l’emozione.
Mentre è possibile controllare in parte la mimica del volto, molto più difficile è controllare i misuratori corporei (effect-display) [73].
Dicevamo che il legale consulente ha bisogno di verificare fin da subito se c’è un rapporto di congruenza tra quello che sta affermando il potenziale cliente (linguaggio verbale o digitale), la sua mimica facciale ed i messaggi che inviano le gambe e le mani (linguaggio analogico).
Questo perché in primo luogo – prima ancora di capire a che punto è arrivato il conflitto – deve decidere se acquisirlo o meno tra la sua clientela.
La verifica della congruenza tra i segnali del corpo e tra il linguaggio analogico e verbale, potrebbe dunque risultare molto complicata se le persone stanno sedute dietro ad una scrivania, a tutto danno di una ponderata valutazione.
Per risolvere il problema basterebbe attrezzare una parte dello studio per la consulenza: sarà sufficiente un piccolo tavolino basso per appoggiare la documentazione e magari qualche genere di conforto[74].
Saranno poi necessarie delle poltroncine o sedie di uguale altezza[75] che rendano possibile la visuale dell’intera sagoma del potenziale cliente[76].
La distanza delle poltroncine andrebbe curata poiché il potenziale cliente vuol vedere rispettato il suo spazio vitale o prossemico[77]: nei rapporti formali con coloro che non sono nostri amici è buona norma quella di non derogare la distanza sociale (che può peraltro variare a seconda della nazionalità del cliente)[78].
Lo spazio per la consulenza potrebbe poi essere ubicato ad una certa distanza dalla porta di ingresso dello stanza adibita a consulenza, di modo che il legale possa controllare l’andatura del potenziale cliente: la lunghezza del passo, l’intensità con cui appoggiamo o pestiamo i piedi per terra tradisce la nostra personalità, l’emozione e tanti altri messaggi; se ad esempio le falcate sono ampie e decise e veloci, potremmo ritenere che abbiamo a che fare con un potenziale cliente collerico, permaloso, pignolo e in perenne rincorsa contro il tempo[79].
Secondo uno studiosa[80] bastano, infatti, soltanto 3 secondi per giungere a conclusioni mirate su un perfetto sconosciuto.
E ciò grazie all’amigdala già citata, una ghiandola del nostro cervello medio, che “ragiona” per sensazioni, sulla base di una percezione olistica, cioè di una impressione globale. Basta un’occhiata e spesso il giudizio è automatico: il nostro cervello provvede a fare una sintesi di tutta una serie di componenti.
Fondamentale appare poi la stretta di mano che si scambia con chi si rivolge al nostro studio[81].
Si deve porre attenzione non solo a come ci porgono la mano, ma a come la diamo noi.
La stretta di mano determina una impressione favorevole che si protrae per la restante parte del colloquio[82].
Può indicare se il nostro potenziale cliente è stressato[83], se cercherà di dominarci[84], se si mostrerà aggressivo o diffidente[85], se sarà collaborativo[86] o meno[87].
E dunque bisogna allenarsi a dare la mano nel modo equilibrato, non assecondando i tentativi di dominarci[88], perché diversamente la consulenza comincerebbe davvero in salita.
(Continua)
[1] Così si definiscono anche i mediatori. La definizione tiene conto del fatto che si opera con tanti sistemi di composizione alternativa.
[2] Core mediation skills include communicating clearly, listening effectively, facilitating communication among all participants, promoting exploration of mutually acceptable settlement options, and conducting oneself in a neutral manner”. Advisory Committee Comment.
[3] Alla vigilia del Congresso di Bari il prof. Alpa ha indicato questa via nel suo contributo congressuale.
Per la verità nella legislatura appena conclusa era già stato presentato un disegno di legge in data 10 maggio 2011 sulla scorta della normativa francese. Ed in particolare dall’AIAF, dall’UNCC e dall’unione Triveneta dei Consigli dell’ordine degli avvocati. Cfr. http://www.ordineavvocatibelluno.com/pdf/Proposta.legge.pdf. Da ultimo anche un partito politico ha incluso la negoziazione partecipativa nel suo programma elettorale.
[4] Art. 4 c. 3 Loi n° 71-1130 du 31 décembre 1971 portant réforme de certaines professions judiciaires et juridiques
« Nul ne peut, s’il n’est avocat, assister une partie dans une procédure participative prévue par le code civil ».
[5] A cui accede peraltro il gratuito patrocinio. Cfr. art. 10 c. 2 Loi n° 91-647 du 10 juillet 1991 relative à l’aide juridique
<<Elle peut être accordée pour tout ou partie de l’instance ainsi qu’en vue de parvenir, avant l’introduction de l’instance, à une transaction ou à un accord conclu dans le cadre d’une procédure participative prévue par le code civil>>.
[6] Può riguardare anche la separazione ed il divorzio.
Article 2067
Une convention de procédure participative peut être conclue par des époux en vue de rechercher une solution consensuelle en matière de divorce ou de séparation de corps.
L’article 2066 n’est pas applicable en la matière. La demande en divorce ou en séparation de corps présentée à la suite d’une convention de procédure participative est formée et jugée suivant les règles prévues au titre VI du livre Ier relatif au divorce.
[7] Articoli 37 e 43 legge n. 2010-1609 del 22 dicembre 2010. LOI no 2010-1609 du 22 décembre 2010 relative à l’exécution des décisions de justice, aux conditions d’exercice de certaines professions réglementées et aux experts judiciaires.
[8] Article 2065 C.c.
« Tant qu’elle est en cours, la convention de procédure participative rend irrecevable tout recours au juge pour qu’il statue sur le litige. Toutefois, l’inexécution de la convention par l’une des parties autorise une autre partie à saisir le juge pour qu’il statue sur le litige.
En cas d’urgence, la convention ne fait pas obstacle à ce que des mesures provisoires ou conservatoires soient demandées par les parties. »
[9] Article 2066 C.c. «Lorsque, faute de parvenir à un accord au terme de la convention, les parties soumettent leur litige au juge, elles sont dispensées de la conciliation ou de la médiation préalable le cas échéant prévue.»
[10] In Francia dal 1991.
[11] Per approfondire i contenuti non giuridici della presente nota, si possono leggere, senza pretesa di completezza: S. BENEMEGLIO – A. BENEMEGLIO, Il potere del gesto. emozioni e desideri nascosti nel silenzio del linguaggio non verbale, CISU, 2007; S. BENEMEGLIO – A. BENEMEGLIO, Il potere del segno, CISU, 2007; S. BENEMEGLIO – A. BENEMEGLIO, Il potere del comportamento, CISU, 2007-2012; S. BENEMEGLIO – A. BENEMEGLIO, La vendita analogica, CISU, 2007; W. F. CHAPLIN, J. B. PHILLIPS, J. BROWN, N.R. CLANTON & J.L. STEIN, Handshaking, gender, personality, and first impressions. (2000) Journal of Personality and Social Psychology, 79, 111-112; CID-CNV ISTITUTO DI PSICOLOGIA ANALOGICA E DI IPNOSI DINAMICA, La seduzione analogica, in http://www.istitutopsicologiaanalogica.it/public/La Seduzione_Analogica_CIDCNV.pdf; CID-CNV ISTITUTO DI PSICOLOGIA ANALOGICA E DI IPNOSI DINAMICA di Stefano Benemeglio, La comunicazione non verbale. atti analogici di rifiuto, in http://www.istitutopsicologiaanalogica.it/public/La_Comunicazione_Non_Verbale_CIDCNV.pdf; C. COCO, Lo sviluppo della personalità e i meccanismi di difesa, in ssis.unitn.it/didattica/sostegno/; G. CONCATO, Manuale di psicologia dinamica, Alefbet, 2006; L. COZOLINO, Il Cervello Sociale. Neuroscienze delle relazioni umane, Raffaello Cortina Edizioni, 200; E. DE BONO, Il pensiero positivo, Sperling & Kupfer, 1994; E. DE BONO, Sei cappelli per pensare. Il rivoluzionario metodo per ragionare con creatività ed efficacia, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2011; E. DE BONO, Il pensiero laterale, BUR, 1997-2010; E. DE BONO, Creatività e pensiero laterale, BUR, 1970-2010; J. M. DARLEY, Fondamenti di Psicologia, a cura di LUIGI ANOLLI, Il Mulino, 1998; V. FANELLI, ENNEAGRAMMA, scopri te stesso e gli altri, Macro edizioni, 2008; G. FATELLI, Fondamenti della comunicazione, 3. L’etimologia, in http://www.comunicazione.uniroma1.it/materiali/11.43.47_Lezione%203.ppt; R. FISCHER- V. URY- B. PATTON, L’arte del negoziato, Corbaccio, Milano, 2005; S. FREUD, Introduzione alla psicanalisi, Boringhieri S.p.a., 1978; S. FREUD, Cinque conferenze sulla psicanalisi, Bollati Boringhieri, 1975; S. FREUD, L’Io e l’Es, Bollati Boringhieri, 2009; M. S. SCARAMUZZA, Elementi di analisi transazionale, in http://www.counselling-care.it/pdf/pdf_AT/AT13.pdf; F. GLASL, Confronting Conflict, A First-Aid Kit for Handling Conflict, Hawthorn Press, 1999; ANNA GUGLIELMI, Il linguaggio segreto del corpo. La comunicazione non verbale, Piemme, 2007; T. HORA, Tao, Zen, and Existential Psychotherapy, Psycologia, 1959; M. ROBINSON – G. WILSON, Is There a Problem with Porn?, 26 august 2007, in http://www.reuniting.info/taxonomy/term/173; G. MOCCIA – L. SOLANO, Psicoanalisi e neuroscienze. Risonanze interdisciplinari, Franco Angeli, 2009; M. PACORI, La stretta di mano: un saluto che parla per noi. In Salute &, agosto 2001, n. 8, anno 2, pag. 37-38; M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, Sperling & Kupfer Editori s.p.a., 2010; R. RUTELLI, Notizie (e esempi) sulla “pragmatica” della comunicazione umana”, in Semiotica (E)semplificata, Liguori Editore, 2005, Napoli, p. 87 e ss.; K. TOMM, Intendi porre domande lineari, circolari, strategiche o riflessive?, in Bollettino n. 24 del 1991 del centro Milanese di terapia della Famiglia, p. 1; J. WACHOB, 12 Things Celebs Can Teach You About Meditation, 21 ottobre 2010, The Huffington Post in http://www.huffingtonpost.com/jason-wachob/13-things-you-can-learn-a_b_685634.html; P. WATZLAWICK – J. HELMICH BEAVIN – D. D. JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana, Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1971.
[12] Ma le considerazioni che faremo, salvi gli obblighi di informativa di cui all’art. 4 c. 3 del decreto legislativo propri esclusivamente del legale, valgono per tutti i professionisti.
[13] Cfr. S. BENEMEGLIO – A. BENEMEGLIO, Il potere del segno, Cisu Editore, 2007, p. 26.
[14] Rule 2. 1 (Advisor) delle Model Rules of Professional Conduct (il codice deontologico degli avvocati americani).
[15] Ognuno ha una propria visione del mondo. Non esiste un’unica realtà. Noi selezioniamo le informazioni in modo coerente con noi stessi. C’è chi sostiene che non esista una informazione che si possa considerare oggettiva (MATURANA).
Gli individui differiscono ancora tra di loro anche per i processi di ragionamento che hanno imparato ad usare: i ragionatori esperti si basano soprattutto sulle regole di inferenza.
Una regola di inferenza stabilisce che una particolare proposizione deve essere vera, posto che siano vere certe altre proposizioni. Se ad esempio sono vere queste due affermazioni: 1) “il Milan o l’Inter hanno vinto lo scudetto del 2010” 2) Il Milan non ha vinto lo scudetto del 2010; ne seguirà in conclusione che l’Inter ha vinto lo scudetto del 2010.
Chi non ha studiato logica formale, tende a ricorrere a modelli mentali ossia ad utilizzare «una copia mentale» interna che possiede la stessa struttura di rapporti del fenomeno che rappresenta” .
[16] Gli uomini e le donne hanno modi fisiologicamente e psicologicamente diversi di percepire ed approcciare alla realtà.
[17] Le persone si possono dividere in tre categorie a seconda del canale con cui interagiscono con la realtà: visivi, auditivi e cenestesici.
[18] Pregiudizi e stereotipi.
[19] Si tratta di un acronimo inglese che sta per Visual Auditory kinesthetic
[20] Armonia, suonare, cantare, zitto, recitare, ascoltare ecc.
[21] Ad esempio: esprimiti meglio, fatti capire, chiamami, descrivi meglio, siamo in sintonia, sono tutt’orecchie, maniera di parlare, prestare attenzione, potere delle parole ecc.
[22] Ad esempio: vedere, colorato, visionare, ammirare, visualizzare, fissare ecc.
[23] Ad esempio: è chiaro come il sole, mi pare che, riempiti gli occhi, è chiaro che, la vediamo allo stesso modo, vedila cosi, ho avuto un flash, è sotto il tuo naso, è evidente che, questo è il quadro della situazione, a occhio nudo ecc.
[24] Percepire, pungente, urtare, solido, correre, toccare, sentire ecc.
[25] Ad esempio: mettere le carte in tavola, tenersi in contatto, momento di panico, togliersi un peso dalle spalle, essere spaventati, soppesare bene i fatti, me lo sento dentro, non siamo affini, l’ho passata liscia, toccare con mano.
[26]
Tipologia Vak A Vak E Mai
1. Perfezionista V A K
2. Altruista K V A
3. Manager V K A
4. Romantico K A V
5. Eremita A V K
6. Scettico A V K
7. Artista V K A
8. Capo A K V
9. Diplomatico K A V
[27] Orientativo, strategico, riflessivo, lineare, secondo la classificazione di Karl Tomm. Cfr. K. TOMM, Intendi porre domande lineari, circolari, strategiche o riflessive?, in Bollettino n. 24 del 1991 del centro Milanese di terapia della Famiglia, p. 1.
[28] Possiede un senso etico.
[29] Soffre di doverizzazioni.
[30] Si cala per natura nella dimensione empatica.
[31] Il manager non ha un senso etico individuale, ma quello sociale del momento; non si mette dunque nei panni degli altri se ciò “non va di moda”; dunque la domanda è inutile, se non dannosa.
[32] L’eremita non segue regole etiche se non sono logiche: dunque rivolgergli una domanda ipotetica è un grosso rischio.
[33] Il conflitto invischiato appartiene a persone che “ce l’hanno col mondo” e a cui non interessa risolvere il conflitto. Ciò perché un rapporto conflittuale è meglio che un’assenza di rapporto.
Alla base c’è la necessità di essere presi in considerazione. Dal momento che queste persone non vogliono risolvere il conflitto la conciliazione od altro mezzo di composizione non rientra nelle loro priorità.
[34] Senza contare che il tono di voce può alterare profondamente la finalità di una domanda e quindi la sua tipologia.
[35] Le aspettative mancate si verificano quando una persona si aspetta da un’altra un certo comportamento che non viene tenuto; il soggetto resta in attesa di più comportamenti senza dire nulla e ad un certo momento esplode il conflitto.
Questa aspettativa viene rappresentata dal soggetto come un dato oggettivo del conflitto; il professionista (e poi il mediatore) deve stare attento a non lavorare sul piano oggettivo, perché diversamente il conflitto non verrà risolto.
[36] Sono quelle domande a cui non si può rispondere semplicemente con un sì o con un no.
[37] Per “domande circolari” si intendono le domande che inducono l’interlocutore ad individuare possibili connessioni tra gli eventi che includono il problema. Esse si contrappongono alle domande “lineari” che invitano a spiegazioni deterministiche del problema presentato.
[38] In particolare Glasl (1997).
[39] Aiuta la sua concentrazione.
[40] La tipologia è creativa per definizione.
[41] Ma si tenga conto che è dispersivo: ciò anche se si utilizza il brainstorming.
[42] Tende a non esternare quel che sa.
[43] Ha paura che dall’elenco possa nascere una fregatura.
[44] Si tenga però conto che predilige le soluzioni a breve termine.
[45] Al contrario del manager predilige le soluzioni a lungo termine.
[46] Ha difficoltà di analisi.
[47] Vive in un mondo ideale.
[48] Non riesce a staccarsi dalle idee altrui.
[49] Accetta solo il risultato che si è costruito.
[50] Ciò lo aiuterà ad entrare maggiormente in empatia con il potenziale affidato, ossia a sentire ciò che il cliente sente e dunque a capire sino in fondo quali possono essere i suoi reali bisogni. Sono questi ultimi che dovranno trovare coronamento in mediazione od in negoziazione.
Dall’attenzione al linguaggio del corpo del cliente il legale potrà percepire lo stato emozionale: se lo stesso si trovi in tensione o se provi sensazioni di gradimento o rifiuto; anche ciò aiuterà il legale ad entrare in empatia.
[51] Se rivolgo una domanda ad un soggetto e questi per rispondermi guarda alla mia destra starà ricordando un fatto, se guarderà alla mia sinistra è possibile che stia inventando o che stia mentendo.
[52] Ci sono degli stadi del conflitto che il legale deve essere in grado di individuare per suggerire al cliente che il conflitto ha una determinata e in qualche modo prevedibile escalation. Il conflitto si autoalimenta, comporta una catena di reazioni che portano appunto alla escalation (entropia).
[53] Le tappe del conflitto che descriveremo sono tratte liberamente dal diagramma di Glasl e corrispondono pienamente a ciò che si verifica nella pratica professionale. Cfr. F. GLASL, Confronting Conflict, A First-Aid Kit for Handling Conflict, Hawthorn Press, 1999.
[54] Si verifica quando gli elementi manifesti, se ce ne sono, coprono il conflitto reale (ad es. interruzione della relazione).
[55] Disaccordo = tensione.
[56] Sussiste un contrasto quando c’è: a) differenza di vedute od opinioni; b) rispetto dell’altro e dei suoi bisogni; c) mancanza di disagio emotivo; d) uno scopo comune.
[57] Sussiste un conflitto quando c’è: a) differenza di vedute ed opinioni; b) un attacco dell’altro, dei suoi bisogni e valori; c) rabbia ed ostilità; d) sospetto di inautenticità sugli obiettivi dichiarati.
[58] Bisogna vedere se sono veri e propri valori ed allora non sono negoziabili. Spesso sono solo atteggiamenti che si cerca di giustificare con un principio: in tali casi si può lavorare sul conflitto.
[59] Lo stesso legale potrà vedere il collega che difende la controparte come un nemico da abbattere processualmente e sentirsi emotivamente e direttamente coinvolto.
[60] Lo troviamo spesso anche nella corrispondenza dei legali.
[61] Situazione questa tipica delle liti familiari.
[62] “Mediators need to create a common understanding with the conflict parties on the mediator’s role and the ground rules of the mediation”. United Nations, Guidance for Effective Mediation, 2012, p. 9.
[63] Come statuisce il Consiglio d’Europa (Raccomandazione n. R (81) 7) non vi può essere assistenza obbligatoria dell’avvocato, ma l’assistenza è comunque un diritto del cliente. La stessa Raccomandazione della Commissione Europea del 30 marzo 1998 98/257/CE individua una in una procedura efficace quella che comporta la possibilità di accesso alla procedura senza rappresentante legale, a costi gratuiti o moderati.
[64] “Tante carte e documenti accatastati alla rinfusa, tanto da occupare quasi tutto lo spazio del piano di lavoro, non rivelano un individuo super indaffarato, ma al contrario: chi siede a quella scrivania non riesce ad avere la giusta efficienza e metodo di lavoro”. Anna Guglielmi, Il linguaggio segreto del corpo. La comunicazione non verbale, Piemme, 2007, p. 37.
[65] Cfr. ANNA GUGLIELMI, Il linguaggio segreto del corpo, op. cit., p. 43.
[66] Anche perché in media un uomo parla 10-12 minuti al giorno ed una frase media dura non oltre 10 secondi e mezzo. Il 65% delle interazioni prende la via del corpo (RAY LOUIS BIRDWHISTELL). Cfr. M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 5.
[67] M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 107. Ciò comporta che non ascoltiamo davvero quello che ci viene riferito, ma pensiamo solo a quello che vogliamo dire noi, rendendo difficile la comunicazione.
[68] M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 107.
[69] L’aspetto paraverbale riguarda le qualità della voce, il modo in cui articoliamo le parole e dunque il registro, il volume, il tono, il timbro, la nasalizzazione, la dizione, la cadenza, l’affettazione della nostra espressione vocale.
[70] Se mi lavassi i denti ad un funerale il messaggio sarebbe differente da quello che lancerei se mi lavassi i denti nel bagno di casa.
Il contesto può essere fisico e psicologico.
Un fenomeno può restare inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica.
[71] Che secondo alcuno sarebbe da parificarsi al linguaggio verbale in quanto a percentuale.
[72] Il bambino che ha fatto una marachella spesso nasconde le mani dietro alla schiena; quando diventa adulto questo gesto viene sostituito da un toccamento del naso o del volto, spesso difficile da percepire per un occhio che non sia allenato a farlo. La persona adulta tende invecchiando a ridurre la propria gestualità e la propria mimica facciale. ANNA GUGLIELMI, Il linguaggio segreto del corpo, op. cit., p. 124.
[73] M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 15.
[74] Se il cliente dovesse portarne alla bocca qualcuno, si osservi se lo mangia in fretta. Se così fosse è probabile che lo faccia anche con le cose che ascolterà e che dunque non elaborerà con la sua testa Se invece dovesse scartare l’involucro con pignoleria probabilmente è persona critica e selettiva. Cfr. A. GUGLIELMI, Il linguaggio segreto del corpo, op. cit., p. 200-201.
Anche la seduta del potenziale cliente può fornire utili indicazioni: se si siede sul bordo dimostra fretta, impazienza o il desiderio di andarsene, così se si siede sulla metà orientando le gambe altrove; se afferra i braccioli e sposta la sedia indietro vuole mantenere le distanze (M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 102); se mette la caviglia sopra il ginocchio è ostile e rigido sulle sue posizioni, se tiene le mani ed incrocia le caviglie probabilmente non vuole rivelare una informazione, se si siede a gambe larghissime (uomo) vuole dominare, se si dondola è come dicesse: “io ho già trovato la soluzione, sbrigati a parlare che te la dico” ecc. (Cfr. A. GUGLIELMI, Il linguaggio segreto del corpo, op. cit., p. 103 e ss.).
[75] Ciò favorisce il rapporto di collaborazione.
[76] Lo sguardo foveale andrà dagli occhi alla fronte del cliente, quello periferico su tutta la sagoma.
[77] L’antropologo EDWARD HALL che ha scoperto il concetto di spazio prossemico ci spiega che la prossemica è “lo studio di come l’uomo struttura inconsciamente i microspazi – la distanza tra gli uomini mentre conducono le transazioni quotidiane -, l’organizzazione dello spazio nella propria casa e negli altri edifici ed infine la struttura della sua città”. La territorialità è un meccanismo inconscio degli animali che consente la regolazione della diffusione della popolazione e della densità di insediamento. Ogni violazione del nostro spazio vitale o prossemico da parte di uno sconosciuto ci provoca uno stato d’ansia. È stato dimostrato che (ROBSON; KIMES) che un locale in cui i tavoli fossero ad una distanza inferiore al metro avrebbe uno scarso successo commerciale presso gli avventori che non ci trascorrerebbero molo tempo e dunque non spenderebbero più soldi. Cfr. M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, Sperling & Kupfer Editori s.p.a., 2010, p. 6 e ss.
[78] Da 1 metro e 20 centimetri a due metri.
[79] Cfr. M. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 77.
[80] Si tratta di Naliny Ambady docente di psicologia alla Tufts University di Medford, Massachusetts. Cfr. PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 2.
[81] È oggi superata l’opinione di VANDERBILT (1957) per cui la stretta di mano è come il modo di camminare di una persona. Secondo alcuno (PACORI, I segreti del linguaggio del corpo, op. cit., p. 90) l’usanza di stringere la mano risalirebbe al Medioevo e in quei tempi stava a significare che coloro che la scambiavano erano disarmati. In tempi decisamente più remoti aveva tutt’altro significato: presso i Greci indicava che il fideiussore di un debito era tenuto a garantirne il pagamento con la propria persona. In ogni caso nella storia ha sempre avuto un importante significato.
[82] Cfr. W. F. CHAPLIN, J. B. PHILLIPS, J. BROWN, N.R. CLANTON & J.L. STEIN, Handshaking, gender, personality, and first impressions. (2000) Journal of Personality and Social Psychology, 79, 111-112.
Sino al 2000 non era scientificamente dimostrato, ma era solo un dato di esperienza, che la stretta di mano influisse sulla prima impressione tra due estranei che si incontrano (e quindi nel nostro caso tra un avvocato ed il suo cliente), ma gli studiosi citati hanno dimostrato che se le mani sono calde e asciutte, le strette sono forti, durature, vigorose e complete (stretta di mano detta ferma) e vi è un contatto con gli occhi , tutto ciò si tradurrà in una impressione più favorevole. La buona impressione che si ricava da una stretta di mano fa sì che le persone, a prescindere dal loro sesso, si comportino in modo estroverso, coscienzioso, piacevole, emotivamente stabile ed aperto. Cfr. W. F. CHAPLIN, Handshaking, gender, personality, and first impressions, op. cit., p. 115.
[83] Una mano asciutta negli uomini indica socievolezza; una mano bagnata indica sempre una situazione di stress perché la mano non suda per un aumento della temperatura.
[84] Il tipo di stretta di mano può indicare dominanza nei seguenti esempi: porre una mano sulla spalla dell’interlocutore mentre con l’altra si stringe la sua mano; stringere la mano con il polso rivolto verso il basso o torcendo il polso dell’altro in modo da fargli esporre il palmo; dare la mano tenendo il braccio rigido; tirare la mano dell’altro verso il basso; piegare il gomito e tirarlo all’indietro nel dare la mano, stringere molto una mano .
Così come può palesare sottomissione piegare la schiena nel dare la mano o ancora può significare rifiuto del contatto stringere la mano dando solo la punta.
[85] L’intensità della forza imposta alla stretta può fornire utili elementi, perché si ritiene legata alla personalità: una stretta salda e decisa è tipica di una personalità dominante, sicura di sé e razionale; se la pressione è sovrabbondante potrebbe però essere indice di un carattere aggressivo ed esibizionista.
Le persone che invece porgono la mano in modo molle e snervato sono di solito riservate, introverse e diffidenti.
Anche l’individuo in depressione ha la tendenza a stringere debolmente. M. PACORI, La stretta di mano: un saluto che parla per noi. In Salute &, agosto 2001, n. 8, anno 2, pag. 37-38.
[86] Se la stretta è avvolgente siamo in presenza di quello che la psicologia analogica chiama “cerchio”, se è a tenaglia di un triangolo. Le personalità cerchio e triangolo sono collaborative.
[87] Se la stretta è penetrativa siamo in presenza di una personalità asta che non è collaborativa. Ha il significato di una sfida.
[88] La qualcosa è complicata, ma non è del tutto impossibile dato che lo studio già citato ed effettuato su 112 individui ha dimostrato che le mani delle persone mantengono invariate nel tempo solo la temperatura (caldo e freddo), la secchezza od umidità e la struttura (rigidità ed elasticità).
Cambiano insieme invece nel tempo cinque variabili: vigore, resistenza, durata, contatto degli occhi e completezza della stretta.
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