Un posto al sole, ossia nelle riviste ANVUR


Se mi chiedi di discettare della procura in mediazione secondo i vari orientamenti e poi mi dici che questo è un contributo scientifico e che quindi posso rimanere formatore e responsabile scientifico, io me ne sto e lo faccio: credimi sulla parola in tuttti i corsi che ho tenuto ho spiegato i vari orientamenti dei tribunali (li conosco).

Ma questo non fa di me un formatore o un responsabile scientifico.

Ma solo uno che si informa e magari paga un abbonamento ad una banca dati. Non farmi diventare un pc, che già faccio fatica ad essere umano.

Vedi a me della procura interessano altri aspetti che certo non mi daranno mai il tuo patentino.

In primo luogo il problema della procura è insolubile allo stato attuale per vari motivi: legislativi e politici (insieme alla Grecia siamo l’unico paese che ha l’assistenza obbligatoria da cui nasce la patata bollente).

Ma questo a te non interessa, basta che scriva del tribunale di Firenze piuttosto che della Corte d’Appello di Napoli e che esprima un parere in merito.

Ma questo a chi giova?

Caro legislatore, lo sai che in mediazione esiste una cosa che si chiama imparzialità e che il mediatore non è un consulente?

Io non possso dire ad un avvocato, anche se lo so, che la sua procura è scritta coi piedi e che è probabile che il giudice dichiari improcedibile la domanda. Verrei meno al mio ruolo.

Chiedimi invece come mi comporto con le parti e se conosco i fondamenti della mediazione.

Ma per tornare alla procura, dicevo che le cose che ti posso spiegare a te non interessano e quindi che te lo scrivo a fare.

Ad esempio potrei dirti che la procura alla lite è stata disciplinata per la prima volta nel 1892, perché il legislatore non si è mai fidato degli avvocati. Il fatto che oggi si dica che la mediazione non è un processo è che quindi la procura ad litem non può essere utilizzata in mediazione è figlio dello stesso antico pregiudizio, che gli avvocati possano fare dei danni se lasciati da soli.

La storia delle parti che devono essere presenti si sviluppa negli anni ’40 dello scorso secolo: ma gli si dà solo un fondamento psicologico; in realtà la ragione profonda risiede nel fatto che dai tempi di Carlo IX (metà del XVI secolo) gli avvocati in conciliazione (allora si chiamava così) non li voleva nessuno perché fomentavano l’inimicizia (come ebbe a dire qualche secolo dopo anche Voltaire e nel Ventennio ancora ce l’avevano per questa affermazione col grande filosofo: vedi la polemica sul Digesto).

La rappresentanza era fenomeno eccezionale nel mondo antico e non poteva essere data agli avvocati (che erano parificati ai faccendieri) ma ad uomini probi: un amico, un parente ed un vicino di casa.

La stessa assistenza era molto circoscritta: era riservata ai sordomuti, ai ciechi e quando l’altra parte era particolarmente “potente” proprio perché era seguita da un avvocato.

Un’inversione di questa tendenza l’abbiamo probabilmente solo negli Stati Uniti quando nel 1983 hanno modificato la Rule sixteen sancendo un principio chiaro: che le parti devono dare agli avvocati il potere di definire la controversia.

Ma queste cose, lo so bene, ai tuoi occhi caro Ministero, non faranno di me un formatore, un mediatore o un responsabile scientificico.

Che ci vuoi fare: abbiamo altri interessi.

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