Nell’ultima bozza datata 17 maggio ore 11 del “Contratto per il governo del cambiamento” si legge a pagina 15:
“Si propone di rendere alternative tra loro (e non entrambe esperibili), anche se obbligatorie, la mediazione e la negoziazione assistita per tutte le materie e, nel caso la richiesta di esperimento della mediazione avvenga da parte del giudice a causa già iniziata (c.d. mediazione delegata), che questa possa avvenire solo su richiesta concorde delle parti e non sia dunque obbligatoria. Diversamente, per le questioni in cui sono coinvolti figli minorenni, si ritiene necessaria l’obbligatorietà della mediazione civile”.
Un primo facile rilievo a questo programma riguarda la generica estensione a tutte le materie.
È noto che allo stato attuale in Italia la mediazione civile e commerciale e la negoziazione assistita possono venire in campo soltanto qualora la controversia verta su diritti disponibili[1]. E dunque coerenza normativa vorrebbe perlomeno di inserire l’inciso “su diritti disponibili”.
L’estensione a tutte le materie della negozialità, che con le opportune cautele, non sarebbe per la verità un male, sembrerebbe poi allo scrivente di ispirazione transalpina, ma, se così è, bisogna evidenziare che in Francia i mezzi alternativi riguardano in genere diritti disponibili. Quando sono in ballo materie come la separazione, il divorzio od il lavoro, c’è sempre e comunque un controllo giudiziale (omologazione) se non un procedimento giudiziale nel quale la volontà delle parti viene vagliata dal giudice.
L’alternatività delle misure come prevista dal Contratto, è sempre prevista in Francia, ma qui non esiste la condizione di procedibilità. Viene fatta salva la volontarietà di tutti i tipi di tentativi di componimento (non solo della mediazione civile e della negoziazione assistita), e si stabilisce che se le parti non hanno provato a comporre la controversia, non ci sono sanzioni: è il giudice che semplicemente suggerisce un percorso mediatorio o conciliatorio.
L’Italia ha scelto invece la obbligatorietà e dunque non si capisce perché ora si debba seguire la logica di applicare distorcendolo un meccanismo che è nato, in base ad un ragionamento politico, per far salva la volontarietà e l’autonomia dei privati e nello stesso tempo non recare fastidio agli avvocati.
Peraltro gli stessi Francesi ritengono che la loro sia una disciplina inefficace, tanto che ad esempio in un buon settore del lavoro pubblico è ora previsto un mezzo alternativo, addirittura a pena di inammissibilità dell’azione.
L’Italia in altre parole ha scelto di affrontare con la mediazione civile 200.000 controversie all’anno, in Francia se va bene se ne affrontano 20.000: non si comprende perché Lega e 5 Stelle vogliano annullare in un solo colpo il cammino fatto sin qui dal nostro paese.
Stabilire poi l’alternatività delle due misure avrebbe delle ricadute pesantissime, non solo sulla deflazione del contenzioso, ma anche sugli organismi privati.
La negoziazione assistita in Italia non ha preso campo se non in materia di famiglia (ma forse nemmeno), così come è avvenuto del resto in Francia.
Avrebbe come unico effetto quello di far chiudere in un lampo tutti gli organismi privati che sono già peraltro con l’acqua alla gola.
I due strumenti, mediazione e negoziazione assistita, non implicano, infatti, le stesse ricadute in termini di tempo e denaro.
La negoziazione assistita al legale costa in sostanza solo il tempo ed il denaro dell’invio di una raccomandata; la mediazione comporta invece il versamento delle spese d’avvio.
Nell’ipotesi in cui il legale si trovi semplicemente a voler adempiere la condizione di procedibilità, non c’è dunque partita tra i due strumenti.
Per la mediazione ci sarebbe una caduta verticale dell’utilizzo. Resterebbero in piedi soltanto gli organismi degli avvocati presso i Tribunali perché questi si fregiano di locali messi a disposizione dal Presidente del tribunale e comunque i loro dipendenti vengono già pagati per altre mansioni.
Questo è dunque lo scenario che Lega e 5 Stelle intendono auspicare, la rovina di molte famiglie che si sono messe in buona fede a disposizione dello Stato e l’esplosione del contenzioso giudiziale.
La stessa previsione della mediazione delegata volontaria interrompe un processo virtuoso del nostro paese.
Non si comprende poi perché negoziazione assistita e mediazione non possano anche cumularsi volontariamente: forse si vuole imporre a tutti i costi il giudizio e non tenere in nessun conto l’autonomia privata?
Nel contratto si legge ancora che per le questioni in cui sono coinvolti figli minorenni, “si ritiene necessaria l’obbligatorietà della mediazione civile”: personalmente preferirei che continuasse ad essere necessario il giudice; nella mia esperienza di mediatore ho visto troppe coppie che trincerandosi dietro alla materia (diritto reale, divisione etc,) mi sono venute davanti in casi in cui erano coinvolti minori di 14 anni! Senza contare che il mediatore civile e commerciale non ha gli strumenti né la conoscenza per occuparsi delle questioni familiari. Semmai dovrebbe proporsi la mediazione familiare sotto al controllo del giudice.
Ancora una parola sulla mediazione familiare, visto che l’ho evocata: da mediatore familiare potrebbe anche andarmi bene la previsione dell’obbligatorietà. Ma potrebbe rilevarsi anche un boomerang per i miei clienti che “obbligati a dover prendere coscienza di essere genitori”, potrebbero vedere l’istituto come una formalità da assolvere e non come la grande opportunità che è.
Nei paesi ove si è resa obbligatoria la mediazione familiare, generalmente ci si è riferiti solo all’obbligo di un incontro informativo, e non alla mediazione propriamente detta.
[1] Art. 2 decreto legislativo 28 del 4 marzo 2010 n. 28
Controversie oggetto di mediazione
Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.
Art. 2 TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 132
b) l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro.