1. Nascita della médiation in Francia ed importanza dell’accesso alla giustizia*
La dottrina ottocentesca (SCAMUZZI, SCIALOJA) ci racconta che fu Voltaire con una celebre lettera in cui esaltava il ruolo della conciliazione in Olanda[1] ad ispirare all’Assemblea costituente la creazione di quella Giustizia di pace che rinveniamo nei Titoli III e X del decreto del 16-24 agosto 1790[2], .
In particolare il passo ritenuto “responsabile” di aver cambiato la storia della composizione del conflitto in mezza Europa sarebbe stato il seguente: “La miglior legge ed utile usanza che io abbia mai veduto, sta in Olanda; ove quando l’un contro l’altro due uomini vogliono litigare, sono obbligati ad andare dapprima dinanzi al tribunale de’ giudici conciliatori chiamati, fattori di pace. Se le parti giungono con un avvocato ed un procuratore, si fa innanzi tutto ritirar questi ultimi, siccome dal fuoco che si vuol spegnere si tolgono le legna. I fattori di pace dicono alle parti:<<Voi siete dei grandi pazzi nel voler consumare il vostro denaro per rendervi scambievolmente infelici; noi vi accomoderemo senza costarvene nulla.>> Che se la forza del cavillare è troppo viva in questi contendenti, li rimanda ad altro giorno, affinché il tempo lenisca i sintomi della loro malattia; indi i giudici li mandano a chiamare una seconda ed una terza volta, ma se la loro follia è incurabile, si permette loro di litigare, siccome si abbandonano all’amputazione del chirurgo le membra cancrenate: allora la giustizia prende il suo impero”.
E siccome in tale missiva dell’Enciclopedista gli avvocati non sono descritti in modo lusinghiero se ne è dedotto frettolosamente che l’istituzione della conciliazione obbligatoria avesse comportato la volontà di limitare il ruolo ed il prestigio dei legali.
Quest’ultima conclusione fu probabilmente il frutto di una propaganda che venne però – dobbiamo dirlo – autorevolmente alimentata in Italia anche nel ventennio fascista[3], tanto da giungere sino a noi, da ultimo con riferimento alla mediazione civile e commerciale. Da un paio d’anni a questa parte riaffiora, infatti, di quando in quando la richiesta di inserire nel dettato del decreto legislativo 28/10 l’assistenza obbligatoria degli avvocati.
Ma la chiave di lettura avrebbe dovuto essere un’altra: ben prima che la Francia legiferasse in materia di conciliazione obbligatoria, c’erano legislazioni che impedivano al legale di partecipare alle procedure extragiudiziali o ad alcune fasi (come ad esempio in Prussia) ed i giudici si adeguavano di conseguenza; tale divieto non discendeva certo dalla natura dell’istituto, ma di come esso era stato disciplinato.
Il che avrebbe dovuto suscitare allora un esame di coscienza dell’Avvocatura sulle cause di tale penalizzante disciplina, esame che non sembra a chi scrive sia stato effettuato; si è preferito invero una cura radicale: l’esclusione degli strumenti di composizione alternativa dalle Costituzioni del 1848 e l’introduzione forzosa del processo così come noi lo conosciamo.
E ciò nonostante almeno sedici Costituzioni nel mondo avessero costituzionalizzato in precedenza gli strumenti alternativi prevedendo espressamente la conciliazione obbligatoria: Regno di Napoli (1799 e 1812), Regno delle Due Sicilie (1822), Francia (1791 e 1795), Cantone di Zugo (1814), Costituzione della Repubblica Ligure (1797), Costituzione della Repubblica Cisalpina (1798), Costituzione del Cantone di Zurigo (1814), Carta Costituzionale del Regno di Polonia (1815), Costituzione del Cantone di Unterwal Il Basso (1816), Costituzione politica della monarchia spagnola (1812), Costituzione del Portogallo (1826), Costituzione politica della Repubblica del Perù (1823), Costituzione del Cile (1823 e 1833), Costituzione dell’Impero del Brasile (1824).
Se già in allora dunque l’accusa mossa alla conciliazione di impoverire e denigrare gli avvocati faceva acqua, a maggior ragione oggi annega in un bicchiere, dato che i legali possono assistere (ed assistono nella stragrande maggioranza dei casi) i loro clienti che ne hanno diritto, prima, durante e dopo la procedura.
Nel XVIII secolo in buona sostanza il principio della obbligatorietà della partecipazione alla conciliazione preventiva si ritrova in Svizzera (a Ginevra), in Prussia, in Svezia e Danimarca, nell’ex Governo Pontificio[4] e dunque si dubita che l’istituto sia nato in Francia per limitare il ruolo dell’avvocato.
In controtendenza sulla obbligatorietà in quel periodo andavano solo gli Stati Sardi[5]: tuttavia si sospetta che in merito al peso della contrarietà molto giocasse, almeno in origine, il rapporto tra il Sovrano e gli Ebrei visto che a presidio del diritto reale di kasagà di questi ultimi vi era appunto un tentativo di conciliazione obbligatoria a cui nemmeno il Re poteva sottrarsi[6].
In Francia la conciliazione obbligatoria, così come la coscrizione obbligatoria, non nascono in definitiva dall’esigenza di limitare diritti e ruoli, ma piuttosto dalla pressante necessità di controllare il territorio.
A partire dal 1790 questo assillo si pone progressivamente anche nella restante parte dell’Europa perché era venuto meno l’antico regime.
Si pensò dunque di affiancare l’utilizzo delle armi[7] con una nuova organizzazione giudiziaria: idea efficace anche se non originale, visto che aveva già fatto grande l’impero romano.
L’accesso alla giustizia divenne dunque nel periodo napoleonico di fondamentale importanza: se i cittadini, infatti, non fossero riusciti a rivolgersi alla giudice, il Governo non sarebbe stato in grado di controllarli se non appunto con le armi.
Per essere accessibile la giustizia doveva anche godere della informalità e della tendenziale gratuità, dal momento che era indirizzata soprattutto ad analfabeti e poveri.
Nella prospettiva indicata divenne nevralgico che la giustizia di pace avesse anche un’organizzazione capillare.
Come si può sommessamente notare il concetto di gratuità della conciliazione ha servito nei secoli diversi padroni e non va pertanto assolutizzato.
L’esigenza del controllo del territorio risalterà anche nel prosieguo con riferimento alla legislazione della regione Liguria.
2. La conciliazione obbligatoria nell’Europa del XIX secolo. Il ruolo dei legali nella procedura
Sulla scorta di questo bisogno comunque il modello francese di conciliazione obbligatoria si ritrova anche nella legislazione ordinaria del Canton Ticino, nel Ducato di Modena[8], in Ungheria, Portogallo e Spagna ove il conciliatore-Alcalde doveva munire il verbale di esecutività “senza tergiversare”[9].
A partire dal 1821 nel paese iberico si inizia pure a parlare di conciliazione tra cittadini e Pubblica Amministrazione[10]. La legge iberica è stata matrice per la legislazione sudamericana sino ad oggi: si veda ad esempio nel 2012 la Ley Orgánica de la Jurisdicción Especial de la Justicia de Paz Comunal.
Il principio dell’obbligatorietà del tentativo trova luogo anche nel Codice spagnolo[11] del 1856[12] che stabiliva la nullità (sanabile[13]) delle procedure senza l’esperimento del tentativo da parte del giudice di pace.
Tutto ciò non depone dunque a favore della tesi secondo cui con l’introduzione della conciliazione obbligatoria si fosse voluto “congiurare” contro la professione legale.
Corrisponde a verità che in Francia inizialmente i legali siano stati esclusi per volontà della Costituente, dalle sedi conciliative[14], ma non deve meravigliare perché in quel paese c’era un’ansia da pacificazione fortissima per tutto il sangue versato dalla ghigliottina.
Inoltre in diversi stati si riteneva, come già accennato, non opportuno che essi partecipassero alla conciliazione dei loro assistiti: così in Olanda, in Prussia, nell’ex Regno Pontificio, nella Repubblica Ligure[15] ed il principio viene mantenuto anche dalla legislazione asburgica in Lombardia e Veneto sino al 1848.
L’esclusione peraltro venne fatta oggetto di ampia riflessione anche in sede parlamentare nostrana, nonostante che il modello di conciliazione che poi approderà nel codice del 1865 fosse quello volontario[16].
Le resistenze parlamentari[17] ebbero influenza anche sulla prassi fino alla fine del secolo.
I giudici ritennero dunque di ammettere gli avvocati in conciliazione a loro discrezione; l’assistenza si considerava necessaria solo in alcuni casi: in ausilio ai ciechi e sordi, quando la parte non avesse sufficiente pratica degli affari o non sapesse esprimere con chiarezza le proprie ragioni, ovvero si diffidasse dell’astuzia dell’avversario.
E ciò mentre la dottrina più autorevole (SCAMUZZI) che aveva peraltro contribuito al processo legislativo di riforma del 1892, rivalutava invece il ruolo del legale ritenendo che comunque fosse opportuno sia consultarne uno prima dell’esperimento della conciliazione sia avvalersi del legale stesso in conciliazione per evitare che fissata la linea col proprio legale, la stessa rimanesse cristallizzata nel corso del procedimento per mancanza di flessibilità dei litiganti dovuta ad ignoranza delle norme.
Si tenga poi conto che comunque i giudici ed il legislatore nazionale non avevano una grande opinione dei legali, notai e farmacisti a ragione del fatto che specie nelle regioni del Sud sino a tutto il XIX secolo si praticava spesso la professione senza nemmeno un titolo di studio di scuola superiore[18].
Ancora oggi del resto nel Nord America vi sono Stati che non prendono posizione sulla esclusione dell’avvocato, altri che in alcuni statuti invece espressamente stabiliscono che le parti ne possano fruire o che il mediatore non ne possa escludere la presenza[19]; e vi sono in ultimo diversi Stati che in alcune previsioni statutarie danno la facoltà al mediatore di escludere gli avvocati dalla mediazione: ad esempio ciò accade negli statuti della famiglia del Montana, della California e del South Dakota.
E pure nella mediazione su base comunale della Norvegia attuale le parti non possono incontrarsi con la presenza di un avvocato.
Ma torniamo alla legislazione post-rivoluzionaria in Francia.
3. Disciplina della médiation in Francia nel XVIII secolo
La conciliazione preventiva francese (mediatiòn) veniva svolta dal giudice di pace e dall’ufficio di pace: erano esentati da essa solo gli affari concernenti la nazione, i comuni, l’ordine pubblico, il commercio e la tutela degli incapaci[20].
Non fu peraltro quella del conciliatore una magistratura nata dal nulla: sulla falsa riga dei Difensori di città romanistici già nel 1313 esistevano gli Uditori del Cancelletto che giudicarono a Parigi sino al XVII secolo le cause lievi, senza apparati, senza istruzione scritta e senza spese[21].
Tale magistratura che ricalca peraltro quella del Baiulo[22] rimase in piedi in Francia sino al 1600[23].
Anche il lungo viatico dell’istituto depone per l’inesistenza di un “complotto” a danno dei legali.
Ogni giudice di pace[24] era assistito da due assessori[25] ed aveva una propria circoscrizione.
Il tentativo di conciliazione doveva effettuarsi obbligatoriamente per tutte le materie eccedenti la sua competenza, diversamente non si poteva adire il tribunale civile distrettuale[26].
Questa incombenza la ritroviamo in seguito anche in capo al conciliatore austriaco del 1803-1815.
Del tentativo tra parti appartenenti a circoscrizioni diverse si occupava un ufficio di pace nominato dal Consiglio comunale in ogni città che fosse sede di tribunale[27].
L’ufficio di pace (bureau de paix) era formato da sei membri, di cui due giuristi, aveva come incombenza anche quella di patrocinare i poveri e di risolvere i loro affari[28].
Peraltro gli stessi magistrati potevano effettuare il necessario uditorato presso il bureau de paix.
Chi voleva interporre appello, sia contro le sentenze del giudice di pace sia contro quelle del tribunale distrettuale, doveva produrre idonea certificazione dell’Ufficio distrettuale che attestasse l’infruttuosità del tentativo[29].
Gli appelli infondati comportavano comunque il pagamento di un’ammenda e così la mancata presentazione al tentativo, se la sentenza fosse stata riparata[30].
Tale scelta per quanto radicale appare allo scrivente comunque migliore rispetto a quella dell’attuale governo di mettere un filtro di inammissibilità in prima battuta al procedimento appello.
La citazione davanti all’ufficio di pace interrompeva la prescrizione[31].
Con la legge 11 settembre 1790 si stabilì in aggiunta che gli impresari dei lavori pubblici dovessero espletare il tentativo obbligatorio davanti al Sotto-prefetto, prima di andare in giudizio.
Il 26 ottobre 1790[32] furono poi dettate le regole processuali per la procedura di conciliazione, ma erano assai farraginose, tanto che una legge[33] impose presto agli avvocati di tornare alle regole della famosa Ordonnance di Luigi XIV del 1667 ed i successivi regolamenti[34].
La costituzione francese del 13 settembre 1791 prescrisse poi vari principi in materia di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie tra cui quello della conciliazione obbligatoria[35] e così la Cassazione francese stabilì che la nullità da mancanza di tentativo fosse conoscibile anche d’ufficio in ogni stato del processo.
La costituzionalizzazione dei metodi alternativi potrebbe essere una idea luminosa anche per le legislazioni dei paesi europei attuali: in Venezuela il processo ha avuto piena realizzazione nel 1999 ed oggi nel paese nessun giurista si sognerebbe di proporre ricorso alla Consulta contro l’arbitrato, la conciliazione o la mediazione.
E ciò sempre più nella prospettiva di rendere effettiva l’attuazione della normativa europea in materia di accesso alla giustizia come richiesto dall’Europa e auspicato recentissimamente dalla relatrice della direttiva 52/08 sulla mediazione transfrontaliera[36], e come da ultimo invocato dalle risoluzioni europee approvate in data 12 marzo 2013.
Nel 1792 in Francia il tentativo divenne obbligatorio anche nel pubblico impiego.
Gli interventi legislativi che abbiamo descritto non riguardano peraltro Napoleone che come vedremo non ebbe affatto un atteggiamento negativo nei confronti della professione legale, seppure la benevolenza dell’Imperatore non fosse legata propriamente a filantropia.
4. La disciplina della conciliazione obbligatoria nell’Italia ad influenza francese
L’ufficio di conciliazione fu istituito anche nella Repubblica Cisalpina[37] nel 1797[38]: il conciliatore conosceva obbligatoriamente, ma non in sede contenziosa[39], tutte le cause sopra le 8000 lire di Milano; il verbale aveva la forma di giudicato di ultima istanza.
Se nel giorno della comparizione non seguiva l’accordo, e se una parte o ambedue non comparivano, veniva rilasciato a chi lo richiedeva certificato di comparsa, ma né in esso, né in altro atto veniva fatta menzione delle proposizioni delle parti davanti all’ufficio di conciliazione, né della loro approvazione o disapprovazione, offerte, promesse, parole o discussioni qualunque esse fossero[40].
Tale regolamentazione del principio di riservatezza non ha proprio alcunché da invidiare a quelle più recenti.
Nella Repubblica Romana (1798-1799) soggetta al comando del “Generale Comandante delle Truppe Francesi” esisteva il Tribunale civile del Pretore[41].
In sede i conciliazione il Pretore ed i suoi assessori formavano un Burò di conciliazione per gli affari di valore superiore ai 1200 scudi romani[42].
“Il ministero del Burò di conciliazione è quello di impiegare, per accordare le parti, tutti li mezzi di Consiglio e d’Istruzione”[43].
Siamo dunque in presenza di una conciliazione valutativa e di un sistema, a cavallo tra la conciliazione e il processo, che poi troverà grande fortuna negli Stati Uniti del XX e XXI secolo.
“Se le parti si accordano viene formato dallo scriba un atto di Conciliazione, il quale esprime tutte le clausole convenienti: quest’Atto sottoscritto dai membri del Burò di conciliazione, dalle Parti, o dai loro Procuratori, e dallo Scriba ha la forza di un giudicato di prima istanza”[44].
In questa ultima formulazione si annidano tutti gli elementi della mediazione civile e commerciale più recente.
“Quindici giorni dopo la prima comparsa delle parti avanti al Burò di conciliazione, se esse non sono conciliate, viene rilasciato a chi lo domanda, e l’Atto della sua comparsa; ma né in quest’Atto, né in alcun altro, viene fatta menzione delle proposizioni fatte dalle parti davanti al Burò, ne della loro approvazione, o disapprovazione, offerte, parole, e discussioni qualunque esse siano”[45].
La lettera, di una modernità sconcertante, è dunque identica a quella che rinveniamo nella legislazione della Repubblica Cisalpina.
5. La disciplina della conciliazione obbligatoria nella Repubblica Ligure
Anche la Liguria fu assoggettata prima all’influenza francese e poi alla dominazione napoleonica dal 1796 al 1815.
Ed è soprattutto con riferimento alla nostra regione che possiamo apprezzare il rapporto tra Napoleone ed i legali.
Mi permetto di descrivere la legislazione di pace di quella che fu la Repubblica Ligure anche perché essa fu in parte legata all’ingegno di Luigi Corvetto a cui la città di Genova ha dedicato una celebre piazza.
L’insigne giurista verrà poi chiamato da Napoleone nella commissione di compilazione del Codice di commercio che avrà fortuna in buona parte dell’Europa.
Già questo dato potrebbe farci riflettere su quanto Napoleone apprezzasse gli avvocati, addirittura quelli di un paese in fondo “straniero”[46].
L’importanza di Corvetto è peraltro enorme anche per l’attuale ordinamento di pace: se oggi abbiamo i giudici di pace e la mediazione civile commerciale lo dobbiamo anche alla lungimiranza di colui che fu oltre che Presidente del direttorio ligure anche legislatore ed avvocato dei poveri.
Nel 1798 in Liguria più di un terzo delle norme sulla riorganizzazione giudiziaria operata in Carignano, riguardarono la giustizia di pace[47]; in conseguenza si vennero a trovare su un territorio per la verità più vasto di quello attuale oltre 200 giudici di pace dislocati in 156 cantoni per 20 giurisdizioni[48].
Essi servivano circa 600.000 abitanti: in sostanza c’era un giudice di pace ogni 300 abitanti[49].
Non si comprende dunque come in una società di certo più complessa e numerosa di quella ligure del Settecento si possa oggi solo pensare di ridurre gli uffici giudiziari, senza peraltro nemmeno indicare a chi dovranno rivolgersi i cittadini e che ne sarà dell’arretrato.
Lo stesso Napoleone che non ebbe certo in animo, come vedremo, di cancellare gli uffici giudiziari ma solo di sostituirli, aveva pianificato la sorte dell’arretrato: ”Nei luoghi di cui le sale degli antichi tribunali, e giudicature saranno destinate ai nuovi tribunali le carte, o minute saranno ritirate, o depositate in una sala particolare, ove i sigilli saranno apposti, meno che non preferisca il cancelliere del nuovo tribunale incaricarsi subito delle suddette carte sopra gli stati, o brevi inventarj, che ne sarebbero stati fatti”[50].
Il giudice di pace ligure del 1798 doveva avere trent’anni e durava in carico un anno, ma poteva essere rieletto[51] e risiedeva nel comune capo-cantone[52].
Non aveva inoltre soltanto funzione giudiziaria, ma anche politica visto che presiedeva l’assemblea dei cantoni[53] che peraltro lo eleggeva unitamente agli assessori[54] su convocazione del “commissario di governo per ordine del direttorio esecutivo”[55].
All’epoca non c’erano dunque problemi di risorse per gli uffici giudiziari visto che era lo stesso giudice di pace che vegliava sulla destinazione degli introiti fiscali del cantone di competenza.
Il giudice di pace poteva appartenere alla prima o alla seconda classe: tale appartenenza ne determinava la competenza che era più ristretta nella seconda classe e consisteva nel presiedere il tribunale di famiglia in relazione agli incapaci, nel giudicare senza formalità inappellabilmente tutte le controversie sino a 50 lire (tra le 50 e le 300 il giudizio era appellabile) e le cause da danni campestri .
I giudici di pace “provvedevano ad impiegare la loro mediazione, ed ufficio per la conciliazione di tutte le controversie eccedenti la loro competenza; e vertenti fra cittadini, dei quali almeno il reo è domiciliato nella rispettiva loro giurisdizione”[56]; quindi si trattava di conciliazione preventiva obbligatoria su ispirazione di quella francese del 1790.
Da notarsi che in questa legge si utilizzi già il termine mediazione su traduzione del termine francese: l’attuale convinzione sulla genesi anglo-americana della terminologia va pertanto ripensata.
Erano di seconda classe i giudici di pace del luogo ove risiedeva il tribunale che però era itinerante e quindi si passava facilmente da una classe all’altra[57].
A Genova centro che aveva una popolazione di circa 90.000 anime si contavano ad esempio solo sei giudici di pace e di seconda classe[58], uno per ogni quartiere e “due per il circondario, fra le vecchie, e nuove mura, cioè tra la parrocchia di S. Teodoro e quella di San Vincenzo”[59].
I giudici di pace di prima classe invece avevano una competenza giurisdizionale sino a lire 1000, ma i giudizi erano appellabili, esercitavano la volontaria giurisdizione e la giurisdizione del lavoro sino a qualsiasi somma e si occupavano anche dei procedimenti possessori, delle apposizioni di termine, degli attentati ai corsi d’acqua dei mulini e all’agricoltura. Avevano una competenza penale per i delitti sino ad otto giorni di carcere o a 15 di “arresto in casa”[60].
Questo sistema flessibile era davvero brillante: il cittadino ligure poteva rivolgersi con fiducia all’ufficio giudiziario del suo paese che avrebbe fatto fronte alla sua esigenza di tutela.
Non era dunque quasi mai necessario spostarsi per ragioni di materia.
Potremmo dire che in quel mondo legato ai commerci, l’accesso alla giustizia era effettivo e soprattutto veloce, così come auspica nel 2013 la Commissione Europea.
Nelle cause di competenza del giudice di pace non vi era un confine netto tra processo e conciliazione: <<fa egli citare la parte; forma un processo verbale, sommario di quanto le parti hanno a lui esposto; riceve anche il giuramento decisorio, che una parte a delazione dell’altra avesse accettato; descrive distintamente i punti, su de’ quali si è tra le parti convenuto>>[61].
Il processo verbale di conciliazione veniva sottoscritto dal giudice e dalle parti che sapessero scrivere o da loro testimoni che però partecipavano alla sola lettura del “convegno” [62].
Anche nella Repubblica Ligure dunque il principio della riservatezza aveva un solido presidio.
Cosa curiosa è che la legge non prevedesse un totale fallimento della conciliazione anche se l’effetto dedotto era poi il medesimo di una completa disfatta; si prevedeva dunque che “Se non riesce a conciliare interamente le parti, trasmette al Tribunale della giurisdizione copia autentica del sopraddetto verbale con un certificato testificante, che la parte è stata inutilmente chiamata all’Ufficio di pace”[63].
Se una parte veniva citata due volte e non si presentava al tentativo il giudice di pace redigeva altro certificato testante, “che la parte è stata inutilmente chiamata all’Ufficio di pace”[64].
Senza questi certificati che andavano allegati alla petizione, il tribunale non poteva ricevere alcuna causa.
Non si ammetteva in giudizio la presenza di “Curiali o Avvocati”, a meno che non avessero questa qualità le stesse parti in causa; in tal ultimo caso se una parte non aveva tale qualità poteva dotarsi di “Curiale od Avvocato”[65].
E dunque come si diceva l’allontanamento degli avvocati dal giudizio di pace era cosa tollerabile anche per Luigi Corvetto legislatore di questa norma, nonostante egli fosse un avvocato dei poveri.
Vi erano poi diverse questioni dispensate dal tentativo: gli affari che interessavano la Nazione, i Comuni, l’ordine pubblico, quelli ove si ricorreva all’esecuzione parata[66] o che dipendevano da titoli di credito ed altri affari giudicati dal tribunale di commercio, gli affari per cui non era data la facoltà di transigere.
6. Il giudice di pace napoleonico in Liguria e la conciliazione “tecnica”
In questa situazione intervenne il decreto napoleonico del 1805 che riformò l’intero sistema giudiziario nella Regione[67] a seguito dell’annessione della Liguria alla Francia.
A partire dal 1805 il controllo francese sulla Liguria si rese penetrante.
Il 4 giugno 1805, infatti, il Senato della Repubblica genovese nella persona del Doge[68] si recò a Milano e richiese a Napoleone che la Liguria fosse annessa alla Francia.
L’Imperatore non se lo fece ripetere due volte e nel decreto di annessione del 6 giugno 1805[69] stabilì che in ogni cantone ci fosse un giudice di pace[70].
La giustizia di pace imperiale sostituì la vecchia giustizia di pace[71] di cui Genova era ben dotata.
Il giudice di pace doveva avere almeno 25 anni ed era salariato dallo stato con 1200 lire nella città di Genova e 800 lire negli altri comuni e non poteva godere di nessun altro emolumento nemmeno se fosse stato nominato come arbitro.
La principale funzione d’un giudice di pace “consiste a conciliare le parti potendo”[72]: tale impostazione vale oggi anche per il mediatore civile e commerciale che non può certo costringere le parti a conciliare, ma all’epoca aveva un significato particolare, perché la conciliazione era marcatamente valutativa ed era effettuata da un giudice.
Tra le varie attribuzioni giudiziarie del giudice di pace vi era anche quella di giudice del lavoro[73], fino a 50 lire senza appello e per qualsiasi altra somma superiore con l’appello, di giudice delle azioni civili per “ingiurie verbali, risse e azioni di fatto”[74] e di giudice tutelare[75].
Nelle materie che non fossero di sua competenza il giudice di pace doveva costituire un Burò[76] di Pace e di Conciliazione.
Il giudice di pace cantonale era anche giudice senza appello del tribunale di polizia, e quindi aveva una competenza penale: si trattava dei delitti la cui pena non oltrepassava i “tre giorni di travaglio, o un imprigionamento di tre giorni”[77].
L’unico precedente che si è rinvenuto in merito al coinvolgimento “forzato” del legale nella procedura di conciliazione si trova appunto nel decreto di Napoleone 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).
E dunque non si può ragionevolmente affermare che Napoleone abbia voluto limitare in qualche modo l’azione dei legali con la mediazione obbligatoria peraltro nemmeno da lui istituita e voluta.
L’art. 36 prevedeva appunto che <<A principiare dal giorno dell’installazione dei giudici di pace, niuna domanda sarà fatta ai tribunali di prima istanza, se il difensore non sarà stato previamente chiamato alla conciliazione del Burò di Pace>>.
Si trattava di una conciliazione preventiva obbligatoria che aveva carattere marcatamente tecnico[78] e quindi il coinvolgimento del legale aveva una sua peculiare ragione d’essere, senza contare che di fronte al Burò ci si andava per le conciliazioni extra competenza del giudice di pace, e quindi anche per l’importanza degli interessi in gioco la figura avvocatizia poteva essere di ausilio.
Le regole di procedura seguite in Liguria erano analoghe a quelle stabilite dall’Assemblea costituente francese del 1790[79].
Ogni citazione per conciliazione davanti il giudice di pace veniva fatta in virtù di una “cedola” del giudice, che enunciava sommariamente l’oggetto della domanda, ed indicava il giorno e l’ora della comparsa.
Il giudice di pace del domicilio dell’attore o del luogo dove si trovava la cosa litigiosa[80], rilasciava questa cedola a richiesta dell’attore, o del suo procuratore, dopo aver inteso l’esposizione della sua domanda[81].
Quindi nella conciliazione ligure c’era un primo contatto col giudice che con tutta probabilità veniva effettuato e gestito dal procuratore, dato che non bisognava soltanto esporre la domanda ma che, per l’art. 37 del decreto del 15 luglio 1805, bisognava anche valutare i casi di dispensa dalla conciliazione che erano peraltro simili a quelli previsti dal decreto 4 marzo 2010 n. 28.
Non c’era invece nella legge ligure-napoleonica una clausola che mettesse al riparo il giudice-mediatore o gli altri operatori dall’indisponibilità del diritto: ci sarà nel codice del 1865 e purtroppo non verrà riproposta dal decreto 28/10.
A questo punto la “cedola” veniva notificata al convenuto per un incontro di conciliazione che si teneva davanti al giudice di pace del suo domicilio[82].
L’udienza di pace, come accennato, comportava adempimenti tecnici sin dall’inizio perché “nell’atto della sua comparsa l’attore potrà spiegare ed anche accrescere la sua dimanda, ed il reo convenuto formare quella che giudicherà convenevole”.
È ragionevole pensare quindi che vi provvedessero i procuratori, così come oggi avviene negli Stati Uniti ove a mediazione si procede a giudizio instaurato.
A seguito di ciò si teneva la conciliazione che peraltro se riuscita non costituiva titolo esecutivo; se la conciliazione non riusciva si dava sommariamente atto che le parti “non hanno potuto accordarsi”[83].
Si trattava in conclusione di un tentativo preventivo che aveva molto del giudiziale, ossia che si occupava di definire la lite, ed è quindi più che normale che la legislazione napoleonica valorizzasse l’impiego dei legali.
Erano dispensati dal tentativo gli affari che interessavano lo stato, i comuni, gli stabilimenti pubblici, i minori, gli interdetti e curatori delle successioni vacanti[84], le domande provvisorie, o che richiedono celerità[85], quelle con l’intervento di un terzo[86], quella fatta in seguito, o in esecuzione di un giudizio tra le parti stesse o chi di ragione[87], gli affari di competenza del tribunale di commercio[88], le domande per esecuzione di convenzioni stipulate nel burò di pace[89], quelle d’immissione in libertà de main levée[90] dei sequestri, e opposizioni, quelle di pagamento di locazioni, fitti, arretrato di redditi[91] e le domande fatte contro tre parti e più, ancorché avessero il medesimo interesse[92].
Chi non compariva al tentativo veniva multato e non poteva continuare l’udienza sino a che non avesse pagato la multa di 10 lire[93].
Dal decreto sulla riorganizzazione giudiziaria si può poi evincere con solare evidenza che Napoleone avesse essenzialmente il bisogno di controllare il territorio.
Di certo l’Imperatore non poteva avere una particolare ansia di pacificazione sociale, dal momento che il governo della Repubblica, era sicuramente filo-francese da almeno un lustro.
In questo senso i tentacoli imperiali furono stesi sull’intero apparato giudiziario.
Napoleone nominava i giudici insieme ai “procuratori generali imperiali, i procuratori imperiali, i loro sostituti, i cancellieri, i procuratori, gli uscieri, fuori quelli delle giustizie di pace”[94].
I pubblici ministeri napoleonici erano naturalmente agenti del governo[95] e le corti di giustizia criminale erano formate da una maggioranza di militari (cinque) col grado di capitano.
Napoleone nominava pure i procuratori legali[96] che si trovavano in numero fisso presso le giurisdizioni superiori e venivano regolati dal “governo a sentimento del tribunale”[97]; non potevano che postulare presso il tribunale cui erano “attaccati” e le parti potevano scegliere se difendersi da sole oppure se rivolgersi a loro.
In un tempo in cui sembra affermarsi l’idea di un Ombudsman che possa controllare le competenze e le capacità dei legali – controllo esterno che in verità in alcuni paesi europei investe anche i ruoli apicali di governo – e si richiamano dunque i Consigli dell’Ordine a prevenirlo, si può affermare che l’idea napoleonica di affidare il compenso dell’avvocato al Tribunale non è poi ipotesi così scandalosa, dal momento che venivano così valutati l’integrità del professionista, le capacità e competenze dimostrate in giudizio e pure la correttezza o meno del rapporto instaurato con la Corte.
7. La legislazione francese nei confronti degli Ordini e l’intervento napoleonico
Ricordo ancora a me stesso che il 2 settembre 1790 la Costituente francese stabilì che gli avvocati non dovessero costituire ordine o corporazione ed indossare un particolare costume durante l’esercizio delle loro funzioni[98].
Ma Napoleone con una legge del 13 marzo 1804 [99] che in Liguria viene richiamata ad altro riguardo l’anno successivo[100], stabilisce che i titoli e le funzioni di avvocato sono ripristinati a condizione di forte sottomissione al potere esecutivo e sotto l’autorità giudiziaria.
Si prevede anche che dal 1° settembre 1810 sia i giudici sia gli avvocati debbano possedere un titolo universitario[101].
Nel 1810[102] viene poi ripristinato l’ordine degli avvocati (tableau de avocats)[103].
Si stabilisce che gli appartenenti all’ordine degli avvocati possano svolgere funzioni suppletive dei giudici o del commissario di governo[104].
Si introduce il giuramento degli avvocati e procuratori[105]; si parificano agli avvocati nelle funzioni i procuratori “licenziati” nell’ambito dei Tribunali a cui “sono attaccati”[106].
Si stabilisce comunque che anche i procuratori non licenziati possano patrocinare le cause nel caso di assenza o rifiuto degli avvocati[107].
Tutto ciò per ribadire che nei confronti di Napoleone che fu imperatore sino al 1814[108], fatte le debite riflessioni in relazione alla cultura e agli equilibri politici dell’Età, i giuristi hanno comunque un apprezzabile debito di riconoscenza.
L’azione imperiale può essere apprezzata specie se si mette a confronto con il regime coevo presente nel Lombardo-Veneto.
L’esclusione degli avvocati dalle conciliazioni (esclusione estesa anche ai procedimenti possessori con Notificazione governativa del 13 ottobre 1825) durerà nel Lombardo-Veneto dal 1803 sino al 5 maggio 1848 quando il Provvisorio Governo della Lombardia la considererà indecorosa e contraria allo spirito della legge.
8. Peculiarità della Liguria napoleonica e “strumenti” della vigilanza
La Liguria aveva poi delle peculiarità rispetto alla Francia: non c’erano tante campagne su cui vigilare.
Il ceto forte era quello dei commercianti, dei mercanti e degli armatori.
Alla funzione di controllo e nello stesso tempo di riconoscimento di questi ceti fu destinata la Camera di Commercio istituita a Genova con decreto del Ministero dell’Interno del 17 giugno 1805[109].
Secondo le volontà dell’Imperatore entro lo stesso mese di giugno i nobili che la componevano avrebbero dovuto presentare uno studio “sulla situazione attuale del commercio e delle manifatture di Genova e sui miglioramenti che si ritenessero possibili”.
Ma l’Imperatore non si fermò qui per blandire e controllare il ceto dominate[110]: mutò anche la composizione del tribunale commerciale sino a quel momento composto da semplici cittadini di almeno trent’anni[111].
L’Imperatore decise che per essere giudice commerciale bisognava aver praticato il commercio per almeno cinque anni[112] e non in un posto qualunque, ma nella città dove aveva sede il tribunale ed essere eletti da un’assemblea di negozianti, banchieri, mercadanti, manifattori ed armatori[113].
C’era comunque sempre la Corte d’Appello di Genova a controllare i loro giudizi[114].
Per ulteriore cautela Napoleone prescrisse che il personale giudiziario (cancellieri, procuratori e uscieri) dovesse rilasciare allo stato anche una salatissima cauzione[115] e che se i cancellieri volevano un apprendista dovessero pagarselo, con il risultato che tutti possiamo immaginare.
Non stupisce dunque che anche il taglio della conciliazione dovesse tenere conto del bisogno di vigilanza e così si valorizzarono i procuratori legali ed un rito conciliatorio riservato sostanzialmente ai giuristi.
In altre parole abbiamo visto che sino al 1805 gli avvocati non potevano partecipare al giudizio di pace[116]: Napoleone comprese che se voleva vigilare efficacemente sui “borghesi” doveva avere in mano e nobilitare allo stesso tempo il ceto forense attraverso l’imposizione di un’attività preventiva che si svolgeva per il rilascio della cedola di conciliazione.
La conciliazione di per sé non aveva grande importanza, tanto che, come accennato, il verbale di accordo non era fornito di efficacia esecutiva.
L’Imperatore aveva anche un’altra necessità assillo, quella di vigilare sulla nobiltà: con questa ultima preferì la via del compromesso e si comportò come disse poi l’eroe Tancredi del Gattopardo “cambiare tutto per non cambiare nulla”.
L’Imperatore abolì dunque il 9 giugno 1805 la costituzione della repubblica del 1802 e dissolse il governo della città[117]; e poi nominò amministratore facente funzione di prefetto di Genova l’ex doge e membri del consiglio del dipartimento di Genova[118] i nobili liguri, un ex ministro francese[119] che poteva evidentemente esercitare una vigilanza dall’interno del consiglio ed ex senatori della Repubblica di Genova[120].
Stabilì infine solennemente nel decreto di riforma della giustizia <<che le funzioni giudiziarie sono e saranno sempre separate dalle funzioni amministrative. I giudici non potranno, sotto pena di prevaricazione[121] intorbidare in qualunque siasi modo le operazioni degli amministratori, né citarli nanti di loro per causa delle loro funzioni>>[122].
Nella Costituzione corsa del 1794 era previsto che gli agenti del governo potessero essere accusati di questo delitto dal Parlamento.
Napoleone era evidentemente imbevuto da questa cultura tanto che volle considerare la prevaricazione come delitto principe per punire i pubblici funzionari e di solito la pena per questo delitto era la degradazione civica[123].
In Liguria dunque la previsione del delitto di prevaricazione veniva benissimo perché impediva ai magistrati di indagare sull’amministrazione della città e dunque manteneva solide le guarentigie nobiliari e gli equilibri repubblicani antecedenti; nello stesso tempo rafforzava anche il controllo imperiale che diventava esclusivo.
9. La conciliazione obbligatoria nel codice di procedura civile francese del 1806 ed i successivi sviluppi
Sempre sul ruolo degli avvocati e la conciliazione obbligatoria si ritiene opportuno qui dar conto della situazione francese successiva alla grande codificazione napoleonica.
Possiamo dire che nel 1806 in Francia vi furono molte discussioni perché gli organi giudiziari (Corti, Tribunato, Consiglio di Stato) e non dunque gli avvocati chiedevano l’abolizione del tentativo obbligatorio: però il fatto che il principio della obbligatorietà fosse stato costituzionalizzato nel 1791 fece propendere il piatto della bilancia per i conservatori dell’istituto.
Tuttavia le polemiche ebbero come esito quello di ridimensionarne l’applicazione.
Il principio dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione passò però salvo eccezioni[124] nel codice di procedura civile francese del 1806-7[125] (art. 49) che però prevedette la sua mancanza come una nullità di carattere privato e quindi sanabile col silenzio.
Il tentativo fu inoltre riservato alle sole cause non di competenza del giudice di pace[126].
Le parti dovevano essere capaci di transigere e potevano conciliare solo su questioni per cui era possibile la transazione[127].
Erano dispensate dal tentativo le domande che richiedevano celerità[128], di intervento e di garanzia[129], in materia di commercio[130], di scarcerazione, di risoluzione di sequestri ed opposizione[131], di pagamento di pigioni, fitti, dei procuratori per il pagamento delle loro spese, arretrati di rendite e pensioni[132] quelle rivolte contro più di due parti quantunque aventi il medesimo interesse[133], di verificazione di scrittura, per cambiamento di procuratore, per regolamento di competenza, per ricusazione dei giudici, per azione civile, quelle contro un terzo pignorato e in generale sui pignoramenti[134], sulle offerte reali, sulla consegna di titoli, sulla loro comunicazione, sulle separazioni di beni, sulle tutele e curatele[135]; ed infine tutte le cause eccettuate dalla legge[136].
Il conciliatore era quello del domicilio del convenuto: le parti potevano comparire di persona o farsi rappresentare da mandatario.
Chi non compariva era soggetto ad una ammenda di dieci franchi e non poteva essere sentito sino a che non dimostrava di averla pagata[137].
In presenza di accordo si redigeva il verbale con le condizioni dell’accordo: esso aveva forza di obbligazione privata; in difetto di accordo si scriveva sommariamente che le parti non si erano accordate e quando una parte non compariva ci si limitava ad annotarlo su una copia della citazione[138].
Ciò era un’innovazione positiva rispetto alla norma di cui al 1790 (art. 1er 3 e 5 del titolo X[139]) che ordinava che fosse disteso un processo verbale della fallita conciliazione e delle cose dette, confessate o negate dalle parti.
Inoltre si tenga conto che in Francia colui che fungeva da conciliatore non era sempre il giudice chiamato a giudicare, né accadeva mai che alla conciliazione seguisse immediatamente il giudizio[140].
Il ruolo dei Giudici di pace francesi è riassunto chiaramente in una circolare del 20 brumaio, anno V[141]; come si leggerà gli ordini che vengono impartiti potrebbero benissimo essere di sprone per i moderni mediatori: “I componenti degli uffici di conciliazione non devono perdere di vista lo scopo della loro primitiva istituzione e la natura delle loro attribuzioni: essi non sono che semplici mediatori, e unica loro missione è quella di spegnere sin dal principio, coll’aiuto dei loro lumi e dei loro consigli, le liti da cui trovansi le parti minacciate. Le loro funzioni puramente conciliatrici fanno interamente sparire il carattere di giudice, del quale si trovano rivestiti per altri casi. Soltanto colle armi della convinzione e della ragione[142] gli uomini di pace possono combattere la testardaggine di un litigante prevenuto. Si guardino dunque di sostituire il peso talvolta dannoso della propria opinione alla volontà libera dell’una o dell’altra parte; diffidino dell’ascendente del loro ingegno e della loro autorità per ottenere dalle parti dei sacrifizi che finiscono per essere sconfessati all’istante dalla volontà intima di chi li ha fatti[143]; non si erigano arbitri delle differenze se non siano costituiti tali dalle parti stesse[144]. Evitando questi scogli, le Parti, lungi dal rimpiangere i consensi talvolta dati con soverchia leggerezza, benediranno le transazioni che saranno il frutto della riflessione, dell’equità e della ragione”.
Specie nelle città il tentativo obbligatorio non diede grandissima prova di sé, ma al contrario funzionò nelle campagne, tanto che fu mantenuto nell’interesse della pace e della concordia tra i cittadini[145].
Dai dati statistici raccolti in Francia tra il 1847 ed il 1852 si ricavò, infatti, che su quattro comparizioni vi erano state tre conciliazioni[146].
Nonostante ciò l’obbligatorietà del tentativo cadde, ma ciò non lo dobbiamo attribuire alla volontà dei legali: possiamo affermare che i rapporti col potere furono sempre improntati al rispetto delle leggi nonostante il predetto scioglimento degli ordini – come di tutte le corporazioni (1793) – poi rientrato con Napoleone.
Accadde semplicemente che il Consiglio di Stato francese nel 1855 approntasse un progetto di legge che tendeva a rendere obbligatori gli avvertimenti ai cancellieri circa il divieto di citare il convenuto senza che prima il giudice di pace avesse chiamato a sé le parti per conciliarle[147].
Toccare gli adempimenti degli operatori giudiziari fu fatale alla obbligatorietà nonostante i dati statistici fossero, come detto, più che buoni.
Qualche anno dopo in un regime di mediazione facoltativa la stessa relazione Zanardelli al re (1882) forniva in Italia dati statistici similari.
Gli 8332 conciliatori del Regno si occuparono di 1.075.246 controversie. Gli affari da loro trattati aumentarono dal 1875, ma nel decennio anteriore vi erano in proporzione più conciliazioni.
Le loro sentenze costituirono il 70,84 per cento del totale delle sentenze emanate da organi giudiziari.
Su 1.075.246 di controversie la conciliazione preventiva si riferì a 224.461 controversie e quindi a circa 1/5 dell’intero contenzioso.
Di queste 224.461 controversie in sede preventiva vennero conciliate 122.034 e dunque 54 controversie su 100.
In sede contenziosa per 850.785 controversie vennero conciliate o transatte 223.835 cause. Ossia 26 su 100 controversie cessarono per intervenuta conciliazione.
Il totale delle conciliazioni ammontò dunque a 345.869, ossia a 32 conciliazioni su 100 e dunque ad 1/3 degli affari di cui ebbero ad occuparsi i conciliatori.
Si deve aggiungere che nelle province meridionali pochissimi erano gli affari che si presentavano al conciliatore in sede non contenziosa, mentre nelle regioni del Nord si affrontavano in sede preventiva un maggiore numero di affari.
Tuttavia a Napoli le conciliazioni erano 82 su 100, in Sicilia 91 su 100, mentre al Settentrione si attestavano al 50 per cento.
Il contenzioso al Sud era invece assai maggiore di quello del Nord (per 100 abitanti al Nord c’erano 2,08 cause, mentre a Napoli 5,26 e in Sicilia 4,59), ma in sede contenziosa al Sud si conciliavano solo il 6 per 100 delle cause per il Napoletano e l’11 per cento in Sicilia, contro il 53 per cento del Settentrione[148].
10. Conclusioni su conciliazione obbligatoria ed avvocati nella Francia post-rivoluzionaria
In conclusione non mi sento di sostenere che l’obbligatorietà della mediazione abbia comportato direttamente in Francia o nelle zone ad essa assoggettate alcun sacrificio del ruolo degli avvocati.
Se sacrificio agli avvocati venne imposto esso si legò, come per le altre professioni, essenzialmente ai tempi rivoluzionari.
Ricordo a me stesso che in questi anni comunque un aggravio ben superiore e destinato a lunga fortuna si impose ai giudici dato che dal 1789 si diffuse l’obbligo della motivazione nelle sentenze.
Napoleone comunque invertì la rotta di qualsiasi asserita od effettiva vessazione dei giuristi e valorizzò invece le competenze e le capacità dei legali, con una misura compatibile con la necessità di controllo imperiale.
L’esclusione del legale dalla conciliazione fu invece nei secoli ben tollerata, in specie perché per tradizione risalente l’istituto non ha investito la vita professionale del giurista se non come un obbligo necessario alla progressione di carriera.
A partire dalla Roma arcaica i disceptatores domestici[149] di matrice legale[150] conciliavano, infatti, gratuitamente dalle sei del mattino alle sei di sera; ma ciò avveniva per un limitato periodo, potremmo dire a fini di tirocinio retorico.
Quella del conciliatore non era dunque una professione, così come del resto in tempi repubblicani non era una professione quella del giurista[151], ma solo un momento di passaggio necessario alla progressione nel corso degli onori.
12. Inesistenza di un rapporto tra conciliazione obbligatoria e divieto di interpretazione della legge
Né in ultimo si può ritenere che sussista un legame ancorché “politico” tra istituzione della conciliazione obbligatoria e il divieto di interpretazione delle leggi che si afferma nel periodo rivoluzionario anche a carico delle scuole di legge.
L’interpretazione rappresentava nella prospettiva illuministica, un’attività normativa e non poteva spettare al giudice, ma al solo legislatore, per cui si riteneva che l’interpretazione autentica fosse l’unica interpretazione consentita[152].
Norme relative al divieto di interpretatio e al référé législatif esistevano già nell’ordinamento della Francia d’Ancien Régime.
L’art. 7, del titolo I, dell’Ordonnance civile del 1667[153] aveva stabilito che, qualora nel corso di un giudizio si fossero presentate difficoltà interpretative di un testo legislativo regio, il giudice avrebbe avuto l’obbligo di sospendere il giudizio e richiedere al Sovrano una interpretazione autentica.
E ciò quando si trattasse di norma regia, perché l’interpretazione del diritto romano comune era comunque possibile per il Giudice.
Il giudice poteva anche richiedere al legislatore, senza peraltro sospendere il giudizio, una interpretazione autentica in caso di dubbio interpretativo o in presenza di una lacuna nell’ordinamento[154].
Il divieto di interpretazione era peraltro di derivazione giustinianea ed in Francia aveva un particolare significato perché per Interpretatio si intendeva un’attività di adattamento o di creazione della norma attraverso la norma.
Il fatto che il divieto riguardasse la norma regia che era per mole minoritaria, consentiva peraltro alla stessa di estendersi per via di interpretazione[155].
* Il presente contributo è frutto della rielaborazione apportata dall’autore a quanto già pubblicato sul periodico Nuova Giurisprudenza Ligure (La mediazione in Francia ed in Liguria, Napoleone e gli avvocati, in Nuova
giurisprudenza Ligure n. 2 anno XIV, Maggio Agosto 2012, De Ferrari, p. 54 e ss.)
Tutti i diritti sono riservati
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[1] F.-M. AROUET, Fragmente d’une lettre sur un usage très utile ètabli in Hollande, 1742, in Oeuvres complètes de Voltaire avec des remarques et des notes historiques, scientifiques et littéraires …: Politique et législation, Tome I, Baudouin frères, Paris, 1827, p. 29. Ne dà notizia tra gli altri A. SCIALOJA, Commentario al Codice di procedura civile per gli Stati sardi, vol I parte II, Procedura davanti ai giudici di mandamento, Unione Tipografica Editrice, Torino, 1857, p. 110.
[2] Décret 16=24 AOUT 1790. (Lett.-Pat.) – Décret sur l’organisation Judiciaire (L. t. I, p. 1362: B. t. V, p. 170. Mon. 4, 5,6, 10, 12, 13,17 août 1790; rapp. M. Thouret.) In J. B. DUVERGIER, Lois, décrets ordonnances, réglements avis du Conseil-D’État, Tome Premier, A Guyot, Paris, 1834, p. 361 e ss.
[3] Molto critico con riferimento a questa missiva e in generale verso la conciliazione obbligatoria si mostra in epoca fascista M. RICCA-BARBERIS, Conciliazione, in Nuovo Digesto italiano, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1938, p. 642.
[4] L. SCAMUZZI, voce Conciliatore e conciliazione giudiziaria, in Digesto Italiano, vol VIII p. I, Unione Tipografico-Editrice, Torino, 1896, p. 60 e ss.
[5] Di cui si ricorda qui una costituzione del 1770: <<Non potrà da qualunque Magistrato, Prefetto o Giudice farsi ordinanza o decreto, che obblighi le parti litiganti al concordio della causa, e se elleno desidereranno transigere, non potranno eleggere per arbitro o mediatore alcuno di quelli, nel tribunale de’ quali si trovasse pendente o potesse ella introdursi>>. Art. 13 del libro II, titolo I delle RR. CC. del 1770. La disposizione trova un precedente nelle RR.CC. del 1729 (art. 13 libro II, cap. I). V. Loix et Constitutions de Sa Majesté Le Roi De Sardaigne pubbliés en 1770, Tome premier, Paris, Le Jay Libraire, 1771.
Ancora oggi peraltro il COA di Cagliari ha scelto a seguito di un vivace dibattito interno di non fondare un proprio organismo di mediazione civile e commerciale e dunque di consolidare una tradizione contraria all’istituto.
[6] Cfr. in merito L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, Tipografia Favale, Torino, 1848, p. 120 e ss. Il tentativo in questione peraltro fu ribadito da Sua Maestà anche dalla Regie Patenti nel 1836, ma ciò non toglie che rimanesse indigesto.
Si tratta probabilmente dell’antenato del tentativo di conciliazione obbligatorio che troviamo oggi quasi in tutta Europa in materia di locazione ed affitto.
[7] È in questi anni che si afferma la coscrizione obbligatoria.
[8] A partire dal 1852.
[9] “=8.° Lo que quedase resuelto y convenido entre las partes en el juicio de conciliación se ejecutará sin escusa ni tergiversación alguna por el mismo alcalde…”(Decreto reale del 18 maggio 1821).
[10] “=11. Cuando sean demandantes ó demandados el alcalde único ó todos los de un pueblo, se celebrará la conciliación ante el regidor primero en orden;…” (Decreto reale del 18 maggio 1821).
[11] Articoli da 201 a 221.
[12] Che a differenza dell’Alcalde (sindaco) prevedeva un giudice di pace.
[13] Con un tentativo di conciliazione in ogni fase della lite. Ipotesi che dovrebbe forse prendersi in considerazione anche dal legislatore moderno.
[14] M. RICCA-BARBERIS, Voce CONCILIAZIONE, op. cit., p. 642.
[15] Per l’art. 51 legge 1° giugno 1798, n. 111
[16] Vennero scelti infatti il codice delle Due Sicilie e quello sardo che prevedevano appunto la facoltatività del tentativo.
[17] Si legga ad esempio la Tornata senatoria del 6 aprile 1892, p. 2927: ai senatori sembravano incompatibili con la figura del conciliatore, “sia per le loro abitudini naturalmente avverse alla conciliazione, sia per quel certo sospetto che nasce dal trovarsi quei professionisti eventualmente conciliatori o giudici davanti ai loro clienti dell’oggi e del domani”.
L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori e dei loro Cancellieri ed Usceri, III ed., E. Rechiedei & C., 1893, p. 77 e ss.
[18] Solo nel 1874 quelli esercenti da almeno dieci anni vennero pareggiati ai laureati (art. 60 l. 8 giugno 1874). L. SCAMUZZI, Manuale teorico-pratico dei Giudici Conciliatori, op. cit., p. 77 e ss.
[19] Nebraska, Oregon, Wisconsin, North Dakota, Oklahoma.
[20] G. L. J. CARRÉ – A. CHAUVEAU, Leggi della procedura civile di C.J.L. Carré, Terza edizione, Volume 1, Rondinella, Napoli, 1853, p. 73. Per la tutela degli incapaci si ricorreva ad una sorta di arbitrato familiare. Il Giudice di pace riceveva comunque i giuramenti dei tutori e curatori.
[21] Cfr. G. L. J. CARRÉ – A. CHAUVEAU, Leggi della procedura civile di C.J.L. Carré, cit. p. 70.
[22] Federico II istituì un Baiulo per ogni città o terra demaniale, che riprese le attribuzioni dei difensori delle città ed altre incombenze; non era un giureconsulto, ma veniva assistito da giudici detti Assessori che giudicavano secondo il suo volere e quindi piegavano il diritto all’equità e ai bisogni del tempo.
[23] Cfr. G. L. J. CARRÉ – A. CHAUVEAU, Leggi della procedura civile di C.J.L. Carré, cit. p. 70.
[24] La sua carica era biennale come quella dei Difensori di città giustinianei.
[25] Ossia da due giuristi che in seguito diventeranno suoi supplenti (art. Art. Ier. Il y aura dans chaque canton un juge-de-paix, et des prud’hommes assesseurs du juge-de-paix).
[26] V. art. 1er 2 e 5 del Titolo X (Dans toutes les matières qui excéderont la compétence du juge-de-paix, ce juge et ses assesseurs formeront un bureau de paix et de conciliation. 2. Aucune action principale ne sera reçue au civil devant les juges de district, entre parties qui seront toutes domiciliées dans le ressort du même juge-de-paix, soit à la ville, soit à la campagne, si le demandeur n’a pas donné, en tète de son exploit, copie du certificat du bureau de paix, constatant que sa partie a été inutilement appelée à ce bureau, ou qu’il a employé sans fruit sa médiation. 5. Aucune action principale ne sera reçue au civil dans le tribunal de district, entre parties domiciliées dans les ressorti de différents juges-de-paix, si le demandeur n’a pas donné copie du certificat du bureau de paix du district, ainsi qu’il est dit dans l’article a ci-dessus; et si les parties comparaissent, il sera de même dressé procès-verbal sommaire par le bureau, de leurs dires, aveux, ou dénégations sur les points de fait, lequel procès-verbal sera également signé d’elles, ou mention sera faite de leur refus).
[27] Art. 1er 4 del Titolo X (En chaque ville où il y aura un tribunal de district, le conseil général de la commune formera un bureau de paix composé de six membres choisis pour deux ans, parmi les citoyens recommandables par leur patriotisme et leur probité, dont deux au moins seront hommes de loi).
[28] Art. 1er 8 del Titolo X (Le bureau de paix du district sera en même temps bureau de jurisprudence charitable, chargé d’examiner les affaires des pauvres qui s’y présenteront, de leur donner des conseils, et de défendre ou faire défendre leurs causes).
[29] Art. 1er 7 del Titolo X (L’appel des jugements des tribunaux de district ne sera pas reçu, si l’appelant n’a pas signifié copie du certificat du bureau de paix du district ou l’affaire a été jugée , constatant que sa partie adverse a été inutilement appelée devant ce bureau , pour être conciliée sur l’appel, ou qu’il a employé sans fruit sa médiation).
[30] Art. 1er 10 del Titolo X (Tout appelant dont l’appel sera jugé mal fondé, sera condamné à une amende de neuf livres pour un appel de jugement des juges-de-paix, et de soixante livres pour l’appel d’un jugement du tribunal de district, sans que cette amende puisse être remise ni modérée sous aucun prétexte).
[31] Art. 1er 6 del Titolo X (La citation faite devant le bureau de paix suffira seule pour autoriser les poursuites conservatoires, lorsque d’ailleurs elles séront légitimes; elle aura aussi l’effet d’interrompre la prescription lorsqu’elle aura été suivie d’ajournement).
[32] Decreto del 18 (e 14)-26 ottobre 1990- Decreto contenente regole sulla procedura davanti alla giustizia di pace. Décret 18 (14 et) = 26 OCTOBRE 1790. – Décret contenant réglement sur le procédure en la justice-de-paix (L., t. II, p. 257; B., t. VII p. 162) in B. DUVERGIER, Lois, décrets ordonnances, op. cit. p. 472 e ss.
[33] Con l’art. 37 della legge 27 marzo del 1791.
[34] Che mantenne peraltro vigore sino al 1867. E. BONNIER, Elementi di procedura civile, Tommaso & C., Napoli, 1833, pp. 8-9.
[35] Capitolo V Del Potere Giudiziario
5. Il diritto dei cittadini di chiudere in via definitiva le loro contestazioni per la via dell’arbitrato, non può ricevere alcun attentato mediante gli atti del Potere legislativo.
6. I tribunali ordinari non possono ammettere alcuna azione in sede civile, se non sia data loro la prova che le parti sono comparse, o che l’attore ha citato la parte avversa davanti a dei mediatori per pervenire ad una conciliazione.
7. Vi saranno uno o più giudici di pace nei cantoni e nelle città. Il loro numero sarà determinato dal Potere legislativo.
[36] “Nonostante la quasi generale attuazione della Direttiva da parte degli Stati Membri, sono purtroppo stati fatti progressi minimi nell’uso della mediazione. Nella Risoluzione del 13 settembre 2012, il Parlamento ha esaminato le misure adottate per attuare la Direttiva, concentrandosi sui paesi ove il numero delle mediazioni è aumentato significativamente.
La Risoluzione ha individuato solo un piccolissimo numero di Stati in questa categoria. Infatti, nella maggior parte degli Stati Membri, l’attuazione della Direttiva ha portato a cambiamenti minimi nell’utilizzo della mediazione.
Tra gli Stati dove vi è stato un cambiamento significativo, l’Italia è in prima linea. Senza dubbio, l’incremento esponenziale del numero delle mediazioni nel vostro paese è il risultato della legge che ha reso il tentativo di conciliazione condizione di procedibilità dell’azione legale per talune categorie di controversie civili”. A. McCARTY, Il giusto rapporto tra giurisdizione e mediazione: prima e dopo la Direttiva europea, relazione dattiloscritta in Convegno ADR, 6 giugno 2012.
[37] Stato sotto il dominio dei Francesi che principalmente le odierne regioni Lombardia ed Emilia-Romagna e marginalmente Veneto e Toscana. Fu costituita il 29 giugno 1797 ed in seguito venne denominata prima Repubblica Italiana (1802-1805) ed infine Regno d’Italia (1805-1814).
[38] R. VELADINI, Raccolta degli ordini ed avvisi stati pubblicati dopo il cessato governo austriaco, 1798, p. 301 e ss.
[39] La sede contenziosa era riservata agli affari tra le 200 e le 8000 mila lire qualora non riuscisse il tentativo.
[40] Art. 25 atto legislativo 15 corrente Fruttidoro.
[41] Leggi Relative alla Costituzione della Repubblica Romana. Roma 10. Germile anno 6 dell’Era Repubblicana. Legge sull’organizzazione dei Tribunali. Titolo primo e secondo. Giustizia civile. Cfr. L. P. SALVIONI, Collezione di carte pubbliche, proclami, editti ragionamenti ed altre produzioni tendenti a consolidare la rigenerata repubblica Romana, Tom. I, 1798, An. I Della Repubblica Romana, p. 197 e ss.
[42] Tit. II, art. 20 Legge sull’organizzazione dei Tribunali.
[43] Tit. II, art. 24 Legge sull’organizzazione cit.
[44] Tit. II, art. 25 Legge sull’organizzazione cit.
[45] Tit. II, art. 26 Legge sull’organizzazione cit.
[46] Peraltro Napoleone insignì Corvetto anche del titolo di conte.
[47] 53 articoli su 140 (v. legge 1° giugno 1798 , n. 111).
[48] Art. 1 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[49] Oggi la Liguria ha 2.600.000 abitanti ed ha, salvi tagli dell’ultima ora, 17 sedi del giudice di pace.
[50] Art. 160 Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).
[51] Art. 28 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[52] Art. 35 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[53] Essa riuniva i rappresentanti di più comuni in cui era diviso il cantone, era presieduta dal giudice di pace e decideva sulle più importanti questioni dal momento che qui si ripartivano le contribuzioni e si “vegliavano su quegli oggetti che interessavano tutto il cantone”. Art. 22 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[54] Ossia agli esperti di diritto che lo consigliavano e lo sostituivano in caso di morte od incapacità provvisoria. Il loro consiglio non era vincolante, poteva sollecitarlo il giudice od anche le parti (art. 41 legge 1° giugno 1798 , n. 111) .
[55] Art. 23 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[56] Art. 31 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[57] Art. 33 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[58] Raccolta delle leggi, ed atti del corpo legislativo della Repubblica ligure dal primo luglio 1978, anno secondo della ligure libertà, volume II, Franchelli Padre e Figlio, 1798, p. XXXI-XXXVII.
[59] Raccolta delle leggi, ed atti del corpo legislativo della Repubblica ligure dal 17 gennaio 1978, anno primo cit., volume I, op. cit. p. 143.
[60] Art. 32 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[61] Art. 44 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[62] Art. 45 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[63] Art. 47 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[64] Art. 47 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[65] Art. 51 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[66] Riguardava le cambiali.
[67] Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).
[68] Giordano Luigi Durazzo.
[69] Nel II titolo art. 7 ed 8.
[70] Il cantone nella Repubblica ligure ricomprendeva più comuni ed ogni comune si identificava per la presenza di una parrocchia (v. L. 1° giugno 1798 n. 111). Con Napoleone ogni circondario di tribunale fu diviso in cantoni e nel capoluogo di ogni cantone doveva esserci appunto un giudice di pace. V. Raccolta delle leggi, ed atti del corpo legislativo della Repubblica ligure dal 17 gennaio 1978, anno primo della ligure libertà, VOLUME I, Franchelli Padre e Figlio, 1798, p. 142 e ss.; v. Bulletin des Lois et Arrêtés publiés dans la 28. division militaire de l’Empire Franςais, tome premier, A l’Imprimerie Impériale, Genés, 1805, pp. 3 e ss.
[71] V. art. 170 decreto di Napoleone cit.
[72] Art. 29 Decreto di Napoleone cit.
[73] Ed in particolare “Dei pagamenti del salario della gente di travaglio, di quello dei servidori, e dell’esecuzione dei rispettivi accordi dei padroni e dei loro servidori, o gente di travaglio” (art. 31 lett. V).
[74] Art. 31 lett. VI Decreto di Napoleone cit.
[75] Art. 33 Decreto di Napoleone cit.
[76] Così si esprime il testo italiano del decreto licenziato in Liguria.
[77] V. articoli da 81 ad 87 Decreto di Napoleone cit.
[78] Si osservavano le norme di procedura dettate in Francia dal decreto 26 ottobre 1790; ciò sino all’art. 37 della legge 27 marzo del 1791 con cui si impose agli avvocati di seguire le regole di un’ordinanza di Luigi XIV del 1667 ed i successivi regolamenti (che mantenne vigore sino al 1867). E. BONNIER, Elementi di procedura civile, Tommaso & C., Napoli, 1833, pp. 8-9.
[79] Decreti 16 agosto e legge 18-26 ottobre 1790 in relazione alla procedura.
[80] Art. 3 e 4 legge del 18-26 ottobre 1790.
[81] Art. l legge del 18-26 ottobre 1790.
[82] Art. 135 decreto di Napoleone cit.
[83] Art. 137 decreto di Napoleone cit.
[84] Art. 37 lett. I Decreto di Napoleone cit.
[85] Art. 37 lett. II Decreto di Napoleone cit.
[86] Art. 37 lett. III Decreto di Napoleone cit.
[87] Art. 37 lett. IV Decreto di Napoleone cit.
[88] Art. 37 lett. V Decreto di Napoleone cit. Il tribunale di commercio era eletto da un’assemblea di negozianti, banchieri, mercadanti, manifattori, e armatori della città dove era stabilito il tribunale. Per diventare giudice bisognava essere stati commercianti per almeno cinque anni, il presidente per dieci. (art. 62).
[89] Art. 37 lett. VI Decreto di Napoleone cit.
[90] Domanda di essere liberata da un sequestro e la relativa opposizione.
[91] Art. 37 lett. VII Decreto di Napoleone cit.
[92] Art. 37 lett. VIII Decreto di Napoleone cit.
[93] Art. 139 Decreto di Napoleone cit.
[94] Art. 7 decreto di Napoleone cit.
[95] Art. 111 Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).
[96] Su proposta del tribunale. Art. 127 decreto di Napoleone cit.
[97] Art. 125 decreto di Napoleone cit.
[98] « Les hommes de loi, ci devant appelés avocats, ne devant former ni ordre ni corporation n’auront aucun costume particulier dans leurs fonctions ». Art. 10 du décret du 2 septembre 1790
[99] Loi relative aux écoles de droit 22 ventôse an 12. http://www.cercle-du-barreau.org/files/TITRE_IV.pdf
[100]In riferimento all’insegnamento della scuola di diritto col Decreto sulle Università del 4 luglio 1805 che prevede appunto la scuola di legge, unitamente a quella di medicina, di scienze fisiche e matematiche, di lingua e letteratura e di scienze commerciali. In pratica si prevede che dal 1810 anche in Liguria gli avvocati e giudici dovessero ottenere alla scuola di diritto un titolo universitario
v. Bulletin des Lois et Arrêtés publiés dans la 28. division militaire de l’Empire Franςais, tome premier, A l’Imprimerie Impériale, Genés, 1805, pp. 51
[101] « 23. A dater du 1 er vendémiaire an 17, nul ne pourra être appelé à l’exercice des fonctions du juge, commissaire du Gouvernement ou leurs substituts, dans les tribunaux de cassation, d’appel, criminels ou de première instance, s’il ne représente un diplôme de licencié ou de lettres de licence obtenues dans les universités, comme il est dit aux articles 14 et 15.
24 A compter de la même époque, nul ne pourra exercer les fonctions d’avocat près les tribunaux, et d’avoué près le tribunal de cassation, sans avoir représenté au commissaire du Gouvernement, et fait en registrer, sur ses conclusions, son diplôme de licencié, ou des lettres de licence obtenues dans les universités, comme il est dit en l’article précédent ». Art. 23 e 24 Loi relative aux écoles de droit cit.
[102] TITRE V. Du tableau des avocats près les tribunaux (Décrets du 14 décembre 1810, du 4 juillet 1811, du 12 juillet 1812, ordonnance du 20 novembre 1822).
[103] « Il sera formé un tableau des avocats exerçant près les tribunaux. » Art. 29 Loi relative aux écoles de droit cit.
[104] <<30. A compter du 1 er vendémiaire an 17, les avocats selon l’ordre du tableau, et, après eux, les avoués selon la date de leur réception, seront appelés, en l’absence des suppléants, à suppléer les juges, les commissaires du Gouvernement et leurs substituts>>.
[105] <<31. Les avocats et avoués seront tenus, à la publication de la présente loi, et, à l’avenir, avant d’entrer en fonctions, de prêter serment de ne rien dire ou publier, comme défenseurs ou conseils, de contraire aux lois, aux règlements, aux bonnes mœurs, à la sûreté de l’Etat et à la paix publique, et de ne jamais s’écarter du respect dû aux tribunaux et aux autorités publiques>>.
[106] « 32. Les avoués qui seront licenciés pourront, devant le tribunal auquel ils sont attachés, et dans les affaires où ils occuperont, plaider et écrire dans toute espèce d’affaires, concurremment et contradictoirement avec les avocats. ».
[107] « En cas d’absence ou refus des avocats de plaider, le tribunal pourra autoriser l’avoué, même non licencié, à plaider la cause ». Art. 32 u.c. Loi relative aux écoles de droit cit.
[108] E poi dal 20 marzo al 22 giugno 1815.
[109] V. Bulletin des Lois et Arrêtés publiés dans la 28. division militaire de l’Empire Franςais, tome premier, A l’Imprimerie Impériale, Genés, 1805, p 24-25.
[110] In campo economico possiamo ricordare che Napoleone ribadì la natura di porto franco in capo a Genova, tranne che per le merci provenienti dall’Inghilterra.
[111] Art. 120 legge 1° giugno 1798, n. 111.
[112] Per il presidente il termine raddoppiava. V. art. 62 Decreto di Napoleone cit.
[113] Per la verità si trattò di una quanto mai opportuna riproposizione dell’art. 7 titolo XIII del Décret 16=24 AOUT 1790 (7. Les juges de commerce seront élus dans l’assemblée des négociants, banquiers, marchands, manufacturiers, armateurs et capitaines de navire, de la ville où le tribunal sera établi).
[114] Art. 69 Decreto di Napoleone cit.
[115] V. art. 130 decreto di Napoleone cit.
[116] Come nel Veneto soggetto all’Austria (in seguito il divieto venne esteso anche alla Lombardia).
[117] Con decreto del Ministero dell’Interno.
[118] La Liguria fu divisa in tre dipartimenti: di Genova, di Montenotte e degli Appennini. V. art. 11 del decreto di Napoleone 6 giugno 1805.
[119] Berthelemy Boccardo.
[120] Louis Corvetto (President), Emanuel Balbi (ex sen.), Jerome Cattaneo (ex sen.), Domenico Celesia (ex sen.), Nicolas Grillo Cattaneo, Georges Doria, Augustin Fieschi, Joseph Grimaldi, Alerame Pallavicini ecc. V. Bulletin des Lois et Arrêtés, op. cit., pp. 28 e ss.
[121] Nel diritto giustinianeo il prevaricatore era colui che nell’accusare prestava soccorso alla parte avversaria e che meritava perciò la pena prevista dalla legge del taglione; chi venisse accusato di prevaricazione non poteva più accusare in un pubblico giudizio. Pandette, Libro XV De prevaricatione.
[122] Art. 16 decreto di Napoleone cit.
[123] V. Repertorio universale della legislazione del Regno d’Italia dell’anno 1810, tomo IV, Giovanni Parolari, Venezia, 1811, p. 339.
[124] Ad esempio vi si sottrassero gli appelli, ma anche le domande che riguardavano lo Stato il demanio, i Comuni, le tutele e le curatele.
[125] Il codice del 14 aprile 1806 entrò in vigore nel 1807.
[126] P. S. MANCINI, G. PISANELLI, A SCIALOJA, Commentario del Codice di Procedura civile per gli Stati sardi, volume I parte II, Presso l’Amministrazione della Società Editrice, Torino, 1857, p. 111.
[127] Il concetto poi ritornerà nella nostra legislazione del 1865.
[128] Art. 49 lett II Code de Procédure civil. Cfr. l’art. 5 c. 3 decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
[129] Art. 49 lett. III Code de Procédure civil.
[130] Art. 49 lett. IV Code de Procédure civil.
[131] Cfr. l’art. 5 c. 3 decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
[132] Art. 49 lett. V Code de Procédure civil.
[133] Art. 49 lett. VI Code de Procédure civil.
[134] Cfr. l’art. 5 c. 4 lett. d) decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
[135] Al contrario il nostro attuale legislatore privilegia come materia obbligatoria di conciliazione proprio i conflitti multiparte.
[136] Art. 49 lett. VII Code de Procédure civil.
[137] V. gli articoli 49-58 del Codice di procedura civile francese del 1807.
[138] Art. 54 Code de Procédure civil.
[139] 3. Dans le cas où les deux parties comparaîtront devant le bureau de paix , il dressera un procès-verbal sommaire de leurs dires, aveux ou dénégations sur les points de fait; ce procès-verbal sera signé des parties, ou , à leur requête , il sera fait mention de leur refus.
5. Aucune action principale ne sera reçue au civil dans le tribunal de district, entre parties domiciliées dans les ressorti de différents juges-de-paix, si le demandeur n’a pas donné copie du certificat du bureau de paix du district, ainsi qu’il est dit dans l’article a ci-dessus; et si les parties comparaissent, il sera de même dressé procès-verbal sommaire par le bureau, de leurs dires, aveux, ou dénégations sur les points de fait, lequel procès-verbal sera également signé d’elles, ou mention sera faite de leur refus.
[140] P. S. MANCINI, G. PISANELLI, A SCIALOJA, Commentario del Codice di Procedura civile per gli Stati sardi, op. cit., p. 124.
[141] La data del calendario rivoluzionario corrispondeva al gregoriano 10 novembre 1797.
[142] Come gli antichi Irenofilaci ed i Feciali.
[143] Sono questi potremmo dire, comandamenti per i mediatori moderni.
[144] Su questo passo dovrebbe forse riflettere anche il legislatore del decreto legislativo 28 marzo 2010, n. 28.
[145] Anche in America la mediation non ha portato al giorno d’oggi i frutti sperati, ma è stata mantenuta nei progetti delle Corti anche se per fini diversi; qualche autore sussurra che la ragione stia nel fatto che i giudici non si fidano molto degli accordi tra avvocati.
[146] Cfr. P. S. MANCINI, G. PISANELLI, A SCIALOJA, Commentario del Codice di Procedura civile per gli Stati sardi, op. cit., p. 112.
Anno | Comparizioni | Conciliazioni | Non conciliazioni |
1847 | 1.003.322 | 733.284 | 272.038 |
1848 | 995.642 | 704.604 | 281.038 |
1849 | 1.112.006 | 808.765 | 393.241 |
1850 | 1.180.065 | 865.808 | 314.267 |
1851 | 1.246.026 | 920.749 | 352.277 |
1852 | 1.344.296 | 988.900 | 355.396 |
[147] L’art. 17 della legge 25 maggio 1838 aveva reso questo avvertimento facoltativo.
[148] Cfr. L. SCAMUZZI, voce Conciliatore e conciliazione giudiziaria, op. cit., p. 83 e ss.
[149] Gli amichevoli compositori furono detti disceptatores domestici a partire da Cicerone (P. Quintio c. 5 e ss. e c. 11; Pro Caecina, 2; Pro Caecina, 8).
Pro Caecina, 2: “quorum alterum levius est, propterea quod et minus laedit, et persaepe disceptatore domestico dijudicatur; alterum est vehementissimum, quod et ad graviores res pertinet, et non honorariam operam amici, sed severitatem judicis ac vim requirit”. Cfr. G. L. J. CARRÉ – A. CHAUVEAU, Leggi della procedura civile di C.J.L. Carré, Terza edizione, Volume 1, Rondinella, Napoli, 1853, p. 72; J. G. HEINECCII, Antiquitatum romanarum jurisprudentiam illustrantium syntagma secundum ordinem Institutionum Justiniani digestum, Henrici Luodovici Broenneri, Francoforte sul Meno,1841, p. 648.
<<Se un cittadino aveva delle differenze civili, doveva egli sulle prime cercare di terminarle all’amichevole, per disceptatores domesticos. Se non vi poteva riuscire citava l’avversario incontrandolo a comparire innanzi al Pretore con una di queste formole “in jus eamus; in jus ambula;”..>> N. DEL BUONO, Lezioni sulle antichità romane, Da’ Torchi della Società Filomatica, Napoli, 1856, p. 22.
[150] V. Orazio, Libro II epistola I.
[151] Il ceto professionale dei giuristi nasce dalla sovversione della tradizione. Cicerone (Delle leggi, 2, 29,47) ci racconta che Quinto Mucio, figlio di Publio, afferma di aver udito il padre che non può essere buon pontefice colui che non abbia conoscenza dello ius civile (ossia delle giurisprudenza e della prassi giudiziaria). Sino ad allora era la pratica pontificale che fondava lo ius civile e non viceversa (v. amplius A. SCHIAVONE, Il giurista, in L’uomo romano a cura di Andrea Giardina, Laterza, 2001, p. 92 e ss.).
[152] La possibilità della sola interpretazione letterale derivava dalle dottrine del Montesquieu.
[153] « Si dans les jugemens des procès qui seront pendans en nos cours de parlement, et autres nos cours, il survient aucun doute ou difficulté sur l’exécution de quelques articles de nos ordonnances, édits, déclarations et lettres-patentes, nous leur défendons de les interpréter: mais voulons qu’en ce cas elles aient à se retirer pardevers nous, pour apprendre ce qui sera de notre intention ».
[154] Art. 3 titolo I Ordonnance.
[155] Sul tema v. amplius P. A. DEL FRATE, Divieto di “interpretatio” e “référé législatif” nei “cahiers de doléances” del 1789 in http://www.storiadeldiritto.org/uploads/5/9/4/8/5948821/alvazzi_divieto_di_interpretatio.pdf