Nuove disposizioni in materia di Arbitro Bancario Finanziario

In G.U. 19/12/2011 n. 294 è stata pubblicata dalla Banca d’Italia la “Revisione delle disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari”.

 In buona sostanza si tratta delle nuove disposizioni di funzionamento dell’Arbitro bancario finanziario.

Come sappiamo l’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, quando si tratti di contratti bancari, pone il ricorso all’ABF come alternativo alla mediazione.

Il documento della Banca d’Italia si presenta rilevante ai fini ADR sotto diversi punti di vista. Mi limito a segnalarne alcuni (clicca qui per l’intero documento  NUOVE-DISPOSIZIONI-ABF-12-12-2011 ).

In molti paesi europei le decisioni dei vari Ombudsman sono pubbliche e lo stesso vale per gli arbitrati dell’ABF che si possono trovare comodamente sul sito http://www.arbitrobancariofinanziario.it/.

Sarebbe opportuno che i mediatori civili e commerciali ne prendessero conoscenza onde poter aiutare i medianti, ove richiesto, ad avere un più completo quadro della propria migliore alternativa all’accordo negoziale.

La decisione sul ricorso è poi assunta dall’ABF sulla base della documentazione raccolta nell’ambito dell’istruttoria, applicando le previsioni di legge e regolamentari in materia, nonché eventuali codici di condotta ai quali l’intermediario aderisca.

Anche per il mediatore civile e commerciale e nello spirito di cui sopra sarebbe importante conoscere i codici etici dell’intermediario chiamato in mediazione.

La decisione dell’ABF può contenere indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediari e clienti:  la Banca d’Italia ha cercato dunque di modulare le decisioni del collegio in modo tale che esse possano agevolare i rapporti futuri e dunque ha trovato ispirazione – per quello che è un arbitrato –  in uno dei concetti che stanno alla base della conciliazione moderna.

Appare poi opportuna ed elastica la norma in materia di interruzione del procedimento ABF.

Il collegio, d’ufficio o su istanza di parte, dichiara l’interruzione del procedimento qualora il ricorrente, in relazione alla medesima controversia, comunichi di aver promosso o di aver aderito a un tentativo di conciliazione o di mediazione ai sensi di norme di legge.

Dunque a seconda delle carte che ci si è scambiate con l’intermediario si può decidere di ricorrere alla mediazione: tale possibilità ricorda da vicino l’esito possibile della discovery in ambito statunitense.

E se la conciliazione non riesce, il ricorso può essere riproposto senza necessità di un nuovo reclamo all’intermediario. In tal caso, le parti possono fare rinvio alla documentazione già presentata in occasione della precedente procedura di ricorso.

Qualora poi la controversia sia sottoposta dall’intermediario all’autorità giudiziaria[1] ovvero a giudizio arbitrale nel corso del procedimento, la segreteria tecnica richiede al ricorrente di dichiarare se questi abbia comunque interesse alla prosecuzione del procedimento dinanzi all’organo decidente. Ove il ricorrente non abbia manifestato il proprio interesse in tal senso entro 30 giorni dalla richiesta, il collegio dichiara l’estinzione del procedimento. In caso contrario, il procedimento prosegue nonostante l’instaurazione del giudizio o dell’arbitrato.

Anche questa norma appare interessante e dà modo alle parti di muoversi agevolmente tra i rimedi.

Non possono invece essere proposti ricorsi inerenti a controversie già rimesse a decisione arbitrale ovvero per le quali sia pendente un tentativo di conciliazione o di mediazione ai sensi di norme di legge (ad esempio, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) promosso dal ricorrente o al quale questi abbia aderito.

Il ricorso all’ABF è tuttavia possibile in caso di fallimento di una procedura conciliativa già intrapresa; in questo caso – fermo restando quanto previsto dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 – il ricorso può essere proposto anche qualora sia decorso il termine di 12 mesi da quando si è presentato reclamo all’intermediario.

Dal momento che il ricorso all’ABF è pressoché gratuito per il ricorrente (si corrispondono solo 20 euro per l’avvio della procedura) e che non è necessario munirsi di avvocato, può essere interessante perlomeno in termini economici e nello spirito della deflazione giudiziaria l’ipotesi di una mediazione e di un successivo arbitrato in caso di fallimento della prima.

 E ciò anche alla luce del fatto che c’è tempo per andare in giudizio:  resta ferma, infatti, la facoltà per entrambe le parti di ricorrere all’autorità giudiziaria ovvero ad ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento per la tutela dei propri diritti e interessi.

Se le parti poi raggiungono un accordo prima della decisione sul ricorso ovvero la pretesa del ricorrente risulta pienamente soddisfatta, il collegio dichiara, anche d’ufficio, la cessazione della materia del contendere.

E dunque si salva l’accordo delle parti come accade in molte legislazioni europee con riferimento all’arbitrato che deve sussumere il regolamento pattizio.

La norma che infine reca nello scrivente il maggiore consenso è quella che prevede che vengano resi pubblici non solo l’inadempimento dell’intermediario, ma pure la mancata cooperazione al funzionamento della procedura.

 Ciò allinea il nostro paese ad alcuni tra quelli più avanzati come la Danimarca e la Germania.

 La notizia dell’inadempienza dell’intermediario o della sua mancata cooperazione è pubblicata, infatti, sul sito internet dell’ABF e, a cura e spese dell’intermediario, in due quotidiani ad ampia diffusione nazionale.  Nel caso in cui sia stata comunicata la sottoposizione della controversia all’Autorità giudiziaria, ne viene fatta menzione in sede di pubblicazione.

Per la mancata partecipazione alla mediazione che non fosse giustificata si dovrebbe prevedere un meccanismo analogo qualora fosse evidente tra le parti una sperequazione di forza contrattuale. Ciò costituirebbe davvero un bel deterrente.

 Certo per la mediazione civile e commerciale è importante il principio della riservatezza, ma è anche vero che nei casi in cui la procedura fosse condizione di procedibilità si dovrebbe trovare un contemperamento tra il segreto della procedura e l’impedimento frustrante delle legittime aspirazioni del cittadino che osserva la legge.


[1] L’estinzione del procedimento opera soltanto se il giudice non dichiara entro la prima udienza l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento della condizione di procedibilità, fissando alle parti i termini di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010.