La formazione in mediazione oggi


Ci sono svariati settori della società che devono recuperare dalla pandemia e rincarano i prezzi; i cittadini sono in difficoltà, ma almeno c’è una motivazione, nemmeno tanto strisciante: gli imprenditori sono stati fermi per un po’ e devono recuperare.

Ci sono poi attività che invece sono legate ai giochi finanziari e vedono aumenti (e comunque mai diminuzioni) che si faticano a comprendere.

La Cassa Forense ad esempio ha messo in crisi migliaia di avvocati che avrebbero voluto cambiare professione o perlomeno diversificare la loro attività, ma il balzello previdenziale ha bloccato tutto.

Era ed è un momento favorevole ad esempio per fare un corso da mediatori; data la paralisi del Governo sul punto, valgono ancora oggi le regole del d.m. 180/10 e dunque il gioco era fatto con cinquanta ore più una manciata, una volta che la mediazione fosse andata a regime.

Diversi avvocati lo avevano capito, ma la tagliola previdenziale ha impedito ogni progetto.

Ciò ha gettato nello sconforto parecchi Enti di formazione che, in difetto di domanda, non programmano corsi e fanno fatica pure a pagare i formatori per l’attività pregressa.

Oppure li programmano proponendo ai docenti paghe misere che ovviamente i professionisti, se non altro per una questione di dignità, non possono (o meglio non dovrebbero) accettare.

Gli enti di formazione in questi 13 anni di operatività hanno iniziato a farsi una furiosa concorrenza abbassando drasticamente e brutalmente i prezzi; ma non solo: poteva “vincere” sul mercato, solo chi spendeva maggiormente nei giusti canali pubblicitari che ovviamente hanno capito l’antifona (alzando le tariffe).

Ad un certo punto si è arrivati (specie con l’avvio dei corsi on-line), probabilmente anche per l’esosità dei canali pubblicitari, a proporre in proprio corsi gratuiti; una ingegnosa forma pubblicitaria che però ha messo ancor più in crisi il sistema. C’è chi ha pensato tra gli uditori, che con la formazione gratuita on-line si potessero ottenere i contenuti della formazione a pagamento in presenza (che ha perso ancor più valore).

Il tutto si è ribaltato sui docenti che seppure sempre meglio formati (ed è questo un paradosso), vedevano decrescere progressivamente il compenso economico: oggi se hai la fortuna che un corso parta devi accettare 1/6 di quello che prendevi nel 2011.

Finché sei giovane e non hai alternative puoi anche accettare (anche se non è saggio), ma quando sei anziano e devi centellinare le forze non puoi che declinare una eventuale così misera offerta.

Questo si riverbera sulla qualità della formazione ovviamente perché un formatore anziano può mettere in campo contenuti e metodiche che un giovane insegnante, per ovvi motivi, non può nemmeno sognarsi; l’esperienza d’aula in formazione, in altre parole, è tutto. I corsi da remoto hanno messo un po’ in ombra anche questo aspetto, illudendo forse qualcuno che basti avere un microfono in mano ed una piattaforma per essere un formatore.

Questa situazione non certo allettante, potrebbe cambiare (o meglio ritornare forse accettabile per i formatori) se il Ministero della Giustizia e quello del l’Economia (mi perdonerete la licenza poetica) si degnassero di far presto nel dare attuazione al parere del Consiglio di Stato.

A quel punto l’attività di mediazione potrebbe tornare almeno minimamente remunerativa e in diversi potrebbero fare sacrifici per diventare mediatore. Questo in biechi termini economici.

In realtà un conto è diventare il mediatore e un conto è fare il mediatore.

Non tutte le persone possono fare questa professione anche se con un certo grado di istruzione possono diventarlo.

Per fare il mediatore bisogna 1) possedere una predisposizione mentale oppure 2) cancellare quel che si è stati in precedenza o almeno 3) avere la capacità cancellare quel che si è dal momento della sessione di mediazione (e così per ogni mediazione).

Ciò vale soprattutto per gli avvocati che non possiedono una predisposizione naturale alla cooperazione.

E non l’hanno non solo perché le Università hanno inculcato loro la dimensione processuale.

O meglio, facendo un passo indietro, bisogna chiedersi perché le Università spingono l’acceleratore sul processo.

La risposta è in parte di carattere storico-ideologico (dal 1848 si è voluto cancellare l’alternativa al processo dalle Carte costituzionali e nel Ventennio vedevano il metodo cooperativo come una minaccia al controllo sui cittadini) ma è soprattutto di carattere psicologico.

Le Università sono formate da giuristi e da avvocati. Per diventare giurista o avvocato bisogna avere una predisposizione psicologica verso le regole, il giudizio, la difesa di un particolare punto di vista.

In poche parole decidi di vivere di legge perché la tua personalità non poteva che esprimersi in quel mestiere lì. Ed è ottima cosa: gli avvocati bravi fanno il loro mestiere.

Continuano a farlo anche in mediazione poiché assistono una parte.

Il mediatore, tuttavia, non può tenere uno stile direttivo, a meno che non si trovi in presenza di particolari tipologie psicologiche che non sono in grado né di fare i loro interessi, né di scegliere come perseguirli; non si tratta di incapaci di intendere e di volere, ma di persone a cui interessano solo gli aspetti emotivi di una data faccenda oppure che hanno avuto genitori che non sapevano fare i genitori e allora ad un certo punto si sono rinchiusi in un mondo tutto loro.

Dunque per un avvocato è più difficile avvicinarsi alla mediazione, per quanto il legislatore e la giurisprudenza abbiano cercato in questi anni di trasformare l’istituto in un procedimento para-giurisdizionale; la trasformazione peraltro non ha funzionato perché ha avuto il solo esito di mettere in affanno Organismi e mediatori (anche avvocati).

E’ difficile per un avvocato fare il mediatore, ma può riuscire se lavora tanto su di sé: chi scrive è un avvocato che ha abbracciato a tempo pieno un modo nuovo di essere e di fare.

E allora quale è il primo passo che un corso di mediazione dovrebbe mettere in conto? Mettere in grado il candidato di prendere consapevolezza di quel che è oggi e di chi può o non può diventare domani.

Né l’attuale testo ministeriale, né quella futuro (che conosciamo solo in bozza) hanno una pallida idea di questo passaggio fondamentale, su cui si può giocare davvero il futuro di un professionista.

2 pensieri riguardo “La formazione in mediazione oggi

  1. Ottimo articolo. Da avvocato e mediatore con 11 anni di esperienza, concordo su ogni singola virgola. Aggiungo che talvolta anche l’organismo non ha ben chiare le dinamiche e le tecniche della mediazione.

    Opero in tre organismi differenti. In uno di questi esiste la prassi che ad ogni incontro deve essere sempre presente un membro dello staff, con la conseguenza, peraltro, che ciò dilata i tempi fra un incontro e l’altro perché sono già occupati.

    Recentemente mi sono sentita dire che in uno specifico incontro avrei dovuto mantenere un comportamento più direttivo.

    Sorvolando sul fatto che il mediatore, in quanto appositamente formato, ha la libertà di decidere come condurre la mediazione, adattandola alla situazione e che, l’organismo non dovrebbe interferire, ho manifestato il mio disaccordo, spiegando ruolo, limiti e responsabilità del mediatore. Ho ricevuto in risposta che questo non è il modello del bravo mediatore che deve, invece, essere autoritario.

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  2. Il grande male della nostra mediazione è il fatto di a) essere nata amministrata, b) essere nata per deflazionare il contenzioso.
    Da queste due distorsioni della mediazione deriva il ragionamento che Lei così bene ha spiegato sopra.
    Spero solo che arrivi il giorno in cui gli organismi di mediazione si limitino a mettere a disposizione una sala (e magari altri servizi) come accade ad esempio in Cina.
    In modo tale che il mediatore possa essere libero di svolgere il suo mestiere.
    Ma temo che non lo vedrò perché da noi la casa è stata costruita dal tetto e come dice Lei gli organismi continuano a non avere chiare “le dinamiche e le tecniche della mediazione”.
    Di primo acchito Le direi di a cercare un altro organismo, ma il problema è che non c’è per i motivi di cui alla mia premessa.
    Quando il denaro e l’impresa si mescolano alla mediazione si possono creare delle aberrazioni.
    Quanto allo stile direttivo esso non connota il buon mediatore.
    Gli stili sono almeno 5 e bisogna vedere con chi abbiamo a che fare. Chi usa uno stile unico non può essere un buon mediatore: non è semplicemente in grado di conoscere i propri interlocutori. Grazie del prezioso commento.

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