La negoziazione assistita. Dalla pratica ad uno sguardo comparato

La tavola rotonda[1] a cui sono onorato di partecipare ha un taglio pratico e dunque partirò da quello.

Mi è stato richiesto quali sono le problematiche che investono l’istituto; ce ne sono innumerevoli legati alla legislazione, ma soprattutto al fatto che in primo luogo la negoziazione assistita richiede di fare chiarezza in ordine all’oggetto del contendere e gli operatori del diritto, così come le parti di un conflitto, vogliono trovare subito delle soluzioni che sono difficilmente rinvenibili, se non è stato ben definito il dato di partenza.

La composizione bonaria così come l’interpretazione e l’applicazione del diritto sono dipendenti dalla formazione del pensiero.

Il pensiero non è che un percorso neuronale che ha bisogno di alcuni passaggi logici: così come la sentenza abbisogna di logica, anche una negoziazione va condotta per gradi e partendo da alcuni elementi individuati con la logica.

La psichiatria sociale[2] ci insegna che il conflitto nasce dalla svalutazione di alcuni elementi, ossia dalla loro ignoranza; quando le parti li acquisiscono il conflitto stesso non ha il più delle volte più ragione di esistere.

In altre parole può essere utile, se si abbia a che fare con un conflitto, chiedersi che cosa sia accaduto, se ciò che è accaduto sia importante, se costituisca un problema e la sua gravità, se per il problema ci siano soluzioni in astratto, se si sia disposti a provare a trovarle ecc.

Sono tutte domande semplici, ma sono imprescindibili se si voglia pensare di negoziare e di mediare e spesso si tralasciano malauguratamente per correre verso le soluzioni.

Sotto questo punto di vista le leggi in materia di negoziazione e mediazione ignorano con il loro dettato il funzionamento della mente umana, valutando che un soggetto possa dichiararsi pronto a cambiare il suo atteggiamento conflittuale semplicemente a seguito dell’invio di una diffida a negoziare o del discorso del mediatore.

Per iniziare a parlare dell’oggetto del contendere e quindi iniziare il percorso logico sopra descritto, è però necessario scambiarsi i documenti relativi alla lite: gli strumenti alternativi partono da qui ed è per questo motivo che nei paesi di civil law come la Francia e l’Italia trovano così tante resistenze.

Da noi si vuole giocare a carte coperte e questo implica che la negoziazione non venga utilizzata e che ci siano poche speranze di utilizzarla in futuro, a meno che i sistemi misti non divengano “sistema” ciascuno con le proprie caratteristiche, come si può riscontrare ad esempio in alcuni stati americani, un esempio tra tutti la California.

Il che impone un cambiamento di prospettiva anche per i legali: due avvocati negoziatori non vantano diritti dei loro clienti nei confronti delle controparti, ma si limitano a chiedere quale tipo di strumento alternativo si ritiene adeguato per la risoluzione della questione comune.

Detto ciò, in merito alla negoziazione assistita nostrana, dal punto di vista giuridico, non possiedo novità di particolare rilievo. Forse perché non ha avuto un grande utilizzo nella pratica, chissà.

Gli unici provvedimenti da menzionare probabilmente riguardano:

  • il riconoscimento dell’Agenzia delle Entrate dell’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa dei trasferimenti di diritti reali avvenuti, in occasione di divorzio e separazione, tramite appunto la negoziazione assistita[3];
  • il decreto ministeriale[4] con il quale il 1° aprile 2017 si è aperta una finestra di soli 10 giorni per fare domanda in merito al credito di imposta del 2016.

E dunque mi soffermerò qui sulle notizie che provengono dalla Francia ante Macron.

Il motivo di un sommario sguardo comparato dipende dal fatto che da qualche anno a questa parte (circa due secoli abbondanti) la legislazione francese influisce su quella nostrana.

E a sua volta, se vogliamo dirla proprio tutta, da almeno un decennio, la legislazione francese in tema di ADR segue la cosiddetta “giustizia partecipativa” canadese.

Ne è un esempio l’istituto in esame oggi, partorito in origine (dopo un primo intervento di Carlo IX del 1563) dalla commissione Guinchard che confeziona un “aggiustamento” del diritto collaborativo appunto canadese.

Ma facciamo un passo indietro per entrare nel dettaglio.

Nel 2008 in Francia si ponevano diverse problematiche.

Il diritto di famiglia transalpino era ed è costellato da norme che invitano all’accordo (da ultimo peraltro si è introdotto anche il divorzio consensuale con atto di notaio[5]); gli accordi però frequentemente richiedevano l’ausilio di un terzo perito e le sue parcelle erano molto salate; ci voleva un istituto che consentisse alle parti di dare incarichi elastici e soprattutto a prezzi contenuti.

Per questioni di bilancio poi il Governo Sarkozy voleva eliminare le due giurisdizioni minori: quella di prossimità (oggi sino a 4000 € di valore)[6] ed il tribunale di Istanza (sino a 10.000 €).

Gli avvocati che prestavano assistenza presso questi fori erano chiaramente sul piede di guerra e la Ministra della Giustizia Rachida Dati decise di affidare la questione appunto alla Commissione Guinchard che “si inventava” la procedura partecipativa tramite avvocato su ispirazione, come già detto, del diritto collaborativo canadese.

Tuttavia nel diritto collaborativo l’assistenza degli avvocati si esaurisce in sede stragiudiziale: la Commissione decise invece che la nuova procedura partecipativa si estendesse anche alla fase giudiziale, per evitare che i cittadini consumassero le loro sostanze economiche in fase pre-processuale e dunque non ci fosse un accesso alla giustizia effettivo.

Si stabilì inoltre, sempre nel rapporto Guinchard (L’ambizione motivata di una giustizia di pace[7]), che qualsivoglia accordo dovesse passare attraverso l’omologazione del giudice (impostazione questa che  in Francia è cambiata in parte soltanto nel 2017).

Nel mentre la direttiva 52/08 richiedeva agli stati dell’Unione Europea di apprestare una disciplina in materia di mediazione transfrontaliera.

Nel paese transalpino era normata all’epoca e dal 1995 la sola mediazione giudiziaria, mentre quella convenzionale (corrispondente in parte alla nostra mediazione civile e commerciale) non aveva ancora un testo di riferimento (lo avrà solo alla fine del 2011, a seguito di diffida della Commissione UE)[8].

Nel 2008 gli avvocati francesi vedevano dunque questa direttiva che richiedeva una formalizzazione come una ulteriore minaccia per i loro introiti e dunque la procedura partecipativa tramite avvocato venne portata avanti, così come era stata proposta nel rapporto Guinchard, in funzione anti-mediazione[9].

Vide un primo momento legislativo nella riforma del codice civile del 2010[10] ed in una correlativa riforma del codice di procedura civile[11] nel 2012.

Il varo non fu entusiasmante nella pratica visto che le procedure omologate furono solo 12 in un anno.

Da noi, è storia nota, arrivò una disciplina chiamata “negoziazione assistita” nel 2014[12], peraltro priva di una valutazione di impatto normativo, disciplina che aveva in comune con quella approntata in diversi ed interessanti progetti depositati dall’Avvocatura in Parlamento, soltanto l’articolo sull’antiriciclaggio: la disciplina italiana non è tuttavia nemmeno una lontana parente di quella transalpina che era ed è di notevole interesse anche in campo di deflazione del contenzioso.

Il legislatore francese che invece aveva varato un testo interessante, di fronte all’evidenza fattuale, ha cercato di rendere la procedura partecipativa più appetibile.

Così l’11 marzo 2015 si sono introdotte nuove regole[13] che peraltro richiamano quelle tedesche del 2012[14].

Si premette che in Francia non sussiste una condizione di procedibilità per i mezzi amichevoli: tutti gli strumenti di componimento bonario, compresa la negoziazione diretta, sono sullo stesso piano e possono essere usati a piacimento.

Detto ciò l’art. 56 u. c. del Codice di procedura civile che disciplina il contenuto della citazione dell’attore (assignation)  che viene comunicata da parte dell’ufficiale giudiziario al convenuto, stabilisce  che “in assenza di legittima giustificazione inerente l’urgenza o la materia considerata, in particolare quando essa riguardi l’ordine pubblico, l’atto di citazione dovrà precisare ugualmente le procedure intervenute ai fini di pervenire ad una risoluzione amichevole del litigio”[15].

Anche il ricorso (la requête ou la déclaration; ad esempio si usa  in tema di divorzio) con cui si chiede al giudice di convocare le parti, deve contenere gli stessi elementi.

Così dispone l’ultimo comma dell’art. 58 del Codice di rito: “In assenza di legittima giustificazione inerente l’urgenza o la materia considerata, in particolare quando essa riguardi l’ordine pubblico, il ricorso dovrà precisare ugualmente le procedure intervenute ai fini di pervenire ad una risoluzione amichevole del litigio”[16].

Il giudice valuta se i mezzi di composizione amichevole adottati dalle parti ed indicati in citazione o in ricorso sono stati adeguati: in caso contrario invita le parti a partecipare ad una conciliazione o ad una mediazione[17].

Ancora sempre nel 2015 si introduce una norma importante con riferimento al procedimento davanti al Tribunal de grande instance che ha una competenza per valore superiore ai 10.000 € ed una competenza per materia molto vasta[18]; potremmo paragonarla a quella del nostro tribunale, compreso il fatto che si occupa di tutti i litigi tra le parti che non sono di competenza di altri tribunali.

In questo processo il convenuto deve nominare un avvocato entro 15 giorni dalla ricezione dell’atto di citazione[19]; l’avvocato del convenuto deve informare l’attore dell’avvenuta nomina e depositarla in cancelleria[20]. A questo punto, la disciplina vigente prevede che una delle parti debba depositare la citazione in cancelleria entro il termine di quattro mesi, diversamente l’atto decade.

Dal 15 marzo 2015 si è stabilita la possibilità di evitare la decadenza se le parti decidono di svolgere una procédure participative all’interno del termine di quattro mesi; in tal caso tale termine viene sospeso sino alla estinzione della procedura[21].

Veniamo ora al 2016-17 con due nuove discipline:

  • la legge di modernizzazione della giustizia civile del 21° secolo pubblicata a novembre del 2016[22] che ha modificato, ai nostri fini, il codice civile.
  • Il decreto del 6 maggio 2017[23] con cui è stato modificato il codice di procedura civile[24].

Non mi soffermo sull’impianto originario dell’istituto francese se non per mettere in luce le modifiche che con la legge sulla modernizzazione (1547-2016) potrebbero essere un domani anche da noi, se dovesse continuare l’opera di “imitazione”.

In primo luogo la legge prevede che la negoziazione assistita non sia relegata più al momento anteriore al giudizio, ma si possa utilizzare anche in corso di causa.

Viene ritoccata la stessa definizione di convenzione di procedura partecipativa stabilendo che “una convenzione è un accordo con il quale le parti di una controversia decidono di lavorare congiuntamente e in buona fede per la risoluzione amichevole della controversia o per il pre-trial (mise en état)[25]”.

Parimenti il codice di rito prevede dall’11 maggio 2017 (Décret n°2017-892 du 6 mai 2017) che la procedura partecipativa possa essere una componente del cosiddetto pre-trial[26].

L’art. 2063 c.c. vede ancora aggiunto una quarto comma in cui si prevede che nella convenzione gli avvocati possano stabilire con controfirma che vengano compiuti determinati atti, secondo un modello predisposto con decreto da Consiglio di Stato[27].

L’art. 1546-3 c.p.c. stabilisce che gli atti da controfirmarsi possono riguardare:

  • La constatazione di fatti che non erano originariamente presenti in convenzione;
  • La determinazione di punti di diritto a cui intendono limitare il dibattito, in quanto si riferiscano a diritti liberamente disponibili;
  • un accordo sulle modalità di comunicazione dei loro scritti;
  • la nomina di un tecnico;
  • la designazione di un conciliatore o di un mediatore[28].

L’art. 1544 c.p.c. precisa che la fase di pre-trial così come la ricerca di un accordo, deve veder operare gli avvocati e le parti congiuntamente[29].

Il giudice dispone la cancellazione della causa dal ruolo quando le parti lo informano della conclusione di un accordo di processo partecipativo (art. 1546-1)[30].

Un’ultima novità introdotta dalla legge sul nostro tema riguarda il processo di lavoro che non va esente dal previo tentativo di mediazione se le parti non rinvengono un accordo in negoziazione assistita (art. 2066 c. 3)[31].

Questa è una deroga per materia voluta strenuamente dal personale giudiziario del Tribunale del Lavoro: in tutte le altre invece il fallimento della negoziazione assistita determina la non necessità di sperimentare un modo di componimento ancorché obbligatorio; di fatto dunque anche una clausola pattizia viene superata dal fallimento della negoziazione e le parti si possono rivolgere direttamente al giudice.

Concludo questa breve disamina indicando alcuni altri punti qualificanti della riforma che riguardano gli strumenti alternativi al processo (in Francia MARD[32]) .

In primo luogo si istituisce un servizio giudiziario di accoglienza del cittadino unico per tutte le giurisdizioni che informa il cittadino sulle controversie e riceve i loro atti in merito (art. 123 c. 3 Codice di organizzazione giudiziaria).

La norma è ispirata dall’analogo ufficio che in Canada si trova presso ogni Tribunale.

Qui si sottopone al cittadino un modulo ove gli si chiede di esprimersi su alcune questioni fondamentali del tipo: hai un avvocato? Se non ce l’hai vai a chiamarne uno perché possa rispondere con te a questo modulo; sai che esistono gli adr? Il processo ti causa stress psicologico? Sei informato sui tempi e modi processuali? Hai il denaro necessario per un processo?

L’intento deflativo è palese. In Canada l’accesso al processo non è più alla portata della tasca di tutti.

Anche in Francia si stabilisce in questo senso che davanti al tribunale distrettuale (art. 4 legge di modernizzazione) sia previsto un tentativo di conciliazione a pena di irricevibilità; a meno che:

  • le parti non richiedano l’omologazione di un accordo,
  • le parti provino di aver intrapreso altra procedura intrapresa per raggiungere una composizione amichevole della controversia,
  • ci sia un motivo legittimo per non ricorrere a conciliazione[33].

La strada della irricevibilità è stata aperta da una sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo del 2015[34] che ha sentenziato che un tentativo di composizione bonaria previsto dalla legislazione appunto a pena di irricevibilità non è contrario all’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo.

Si introduce ancora la mediazione nel processo amministrativo: nel processo celebrato davanti al Consiglio di Stato il giudice, ottenuto il consenso, può invitare le parti alla mediazione (art. 114-1  Codice di giustizia amministrativa)[35] che può riguardare solo diritti disponibili (art. 213-3) e l’accordo (su diritti disponibili) può essere omologato e dotato di forza esecutiva dal giudice (art. 213-4).

Le parti possono nominare un mediatore anche a prescindere dal giudizio e prima di porre in essere un giudizio amministrativo.

La richiesta di mediazione interrompe il decorso della prescrizione. La prescrizione decorre per almeno 6 mesi dalla conclusione della mediazione.

La mediazione in tal caso può essere chiesta al presidente del tribunale o alla corte d’appello amministrativa; il presidente può delegare un altro giudice o tenerla in proprio[36]. Essi possono delegare anche dei mediatori esterni al tribunale di cui fissano il compenso. Se la mediazione  costituisce condizione di procedibilità per alcuna legge, è gratuita per le parti[37].

Il caso riguarda i dipendenti pubblici che vogliano iniziare cause di lavoro: per un periodo sperimentale di quattro anni dovranno effettuare un tentativo preliminare di mediazione[38].

Altro caso di mediazione preventiva obbligatoria, e qui concludo, riguarda la famiglia[39].

A titolo sperimentale e per tre anni ogni richiesta di modifica delle decisioni del giudice o degli accordi nascenti da una convenzione che riguardino l’esercizio di potestà dei genitori, il contributo per il mantenimento e l’educazione dei figli, deve essere preceduta da un tentativo preventivo di mediazione a pena di irricevibilità della domanda.

Ci sono solo tre eccezioni:

  • se vi è richiesta congiunta di omologazione di una convenzione;
  • se c’è un motivo legittimo per non celebrare la mediazione;
  • se sono commesse violenze da un genitore verso l’altro o nei confronti dei figli.

[1] Relazione tenuta in Genova presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati il 12 giugno 2017 al convegno “Giornata di studi in ricordo di Giuseppe Borré La giustizia partecipata: conflitti, mediazione, composizione”

[2] Una sommaria bibliografia in merito può essere forse di qualche utilità.

Maria Saccà, Accarezza(mi). La mamma non ha sempre ragione, Franco Angeli.

Ian Stewart-Vann Joines, L’analisi transazionale, Garzanti, 1997

Ian Stewart-Vann Joines, Adattamenti di personalità, Felici Editori, 2014.

Michele Novellino-Carlo Moiso, Stati dell’Io, Astrolabio,

  1. Brown, L’analisi transazionale e la psicopatologia delle comunicazioni

Sabrina Damanti, I giochi dell’analisi transazionale, Xenia

Fabio Ricardi, L’analisi transazionale, Xenia

Eric Berne:

-A che gioco giochiamo? Bompiani

-Analisi transazionale e psicoterapia, Astrolabio

-Intuizioni e stati dell’io, Astrolabio

-Ciao…E poi?, Bompiani

-Fare l’amore

[3] Risoluzione n. 65/E dell’Agenzia delle Entrate: Esenzioni per il trasferimento di diritti reali in seguito a negoziazione assistita; cfr. ttps://mediaresenzaconfini.org/2015/07/17/risoluzione-n-65e-dellagenzia-delle-entrate-esenzioni-per-il-trasferimento-di-diritti-reali-in-seguito-a-negoziazione-assistita/

Il riferimento è l’articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 disponente che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione  o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa“.

La risoluzione citata prevede che “Data la parificazione degli effetti dell’accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita di cui al citato articolo 6 del decreto legge n. 132 del 2014 ai provvedimenti giudiziali di separazione e di divorzio, deve ritenersi applicabile anche a detto accordo l’esenzione disposta dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987, sempreché dal testo dell’accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale”.

[4] DECRETO 30 marzo 2017 Modifiche al decreto 23 dicembre 2015 recante incentivi fiscali nella forma del «credito d’imposta» nei procedimenti di negoziazione assistita. (17A02479) (GU Serie Generale n.77 del 1-4-2017)

[5] Dal primo gennaio 2017 i coniugi possono separarsi senza passare più davanti a un giudice. La riforma lanciata dal governo socialista prevede infatti che per le separazioni consensuali, che rappresentano poco più di metà (54%) del totale, si potrà andare semplicemente da un notaio, evitando udienze in tribunale. I coniugi dovranno prima avviare le pratiche dagli avvocati, decidendo insieme i diversi aspetti (separazione dei beni, eventuali accordi su alimenti e cura dei figli). Una volta trovata l’intesa, l’atto sarà inviato al notaio con un tempo di riflessione fissato in un massimo di 15 giorni entro il quale uno dei due coniugi può ridiscutere le condizioni. Al termine di questo periodo sarà dichiarato il divorzio “express” o “à la carte” come dicono i promotori della riforma.

[6] Dal 1° luglio 2017 non esisterà più grazie all’art. 15 della legge di modernizzazione della giustizia civile del 21° secolo.

  1. – Les II et III du présent article entrent en vigueur le 1er juillet 2017. A cette date, en matière civile, les procédures en cours devant les juridictions de proximité sont transférées en l’état au tribunal d’instance. Les convocations et assignations données aux parties peuvent être délivrées avant cette date pour une comparution postérieure à cette date devant le tribunal d’instance.

[7] http://www.ladocumentationfrancaise.fr/rapports-publics/084000392/

[8] Ordonnance n° 2011-1540 du 16 novembre 2011 portant transposition de la directive 2008/52/CE du Parlement européen et du Conseil du 21 mai 2008 sur certains aspects de la médiation en matière civile et commerciale in https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000024804839&dateTexte&categorieLien=id

[9] Nel mentre venne considerata insufficiente dalla Comunità Europea la norma transalpina approntata in tema di prescrizione sempre nel 2008.

[10] LOI n° 2010-1609 du 22 décembre 2010 relative à l’exécution des décisions de justice, aux conditions d’exercice de certaines professions réglementées et aux experts judiciaires  in https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexteArticle.do;jsessionid=A328283FE7EC389BBE3F9A22363FC889.tpdila14v_3?cidTexte=JORFTEXT000023273986&idArticle=LEGIARTI000023274858&dateTexte=20101224

[11] Décret n° 2012-66 du 20 janvier 2012 relatif à la résolution amiable des différends in https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do;jsessionid=5F7269EDB4CA5F6142C4B6A26E107B4A.tpdjo05v_2?cidTexte=LEGITEXT000025180957&dateTexte=20120122&categorieLien=cid#LEGITEXT000025180957

[12] LEGGE 10 novembre 2014, n. 162 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile. (14G00175) (GU Serie Generale n.261 del 10-11-2014 – Suppl. Ordinario n. 84) note: Entrata in vigore del provvedimento: 11/11/2014

[13] Décret n° 2015-282 du 11 mars 2015 relatif à la simplification de la procédure civile à la communication électronique et à la résolution amiable des différends. Cfr. Legifrance.gouv.fr/affichTexte.do;jsessionid=C05B77B80CD1EB18D6A1B2130B065D9B.tpdila07v_3?cidTexte=JORFTEXT000030348201&dateTexte=29990101

Cfr. https://mediaresenzaconfini.org/2015/03/19/la-francia-modifica-la-disciplina-degli-strumenti-alternativi-il-giudizio-diventa-sempre-piu-una-extrema-ratio/

Alcune novità riguardano anche la conciliazione: di fronte alle giurisdizioni minori l’attore non può più opporsi alla delega della conciliazione da parte del giudice al conciliatore di giustizia. La nomina di un conciliatore di giustizia da parte del tribunale di commercio e da parte del tribunal paritaire de baux ruraux non abbisogna più del consenso delle parti.

[14] Il legislatore tedesco con la legge sulla mediazione  ha a suo tempo modificato il § 253 comma (3) ZPO (Codice di procedura civile) prevedendo che la domanda di introduzione di una causa civile debba contenere “una dichiarazione che indichi se, prima del deposito del ricorso, abbia avuto luogo una mediazione od altro processo di risoluzione dei conflitti extra-giudiziale, nonché una dichiarazione relativa al fatto che sussistano motivi che ostacolino una definizione bonaria;”.

Parimenti la legge tedesca sulla procedura in materia familiare e di giurisdizione volontaria (17 Dicembre 2008; FamFG) ha subito dal 2012 delle modifiche  al fine di regolare in modo sempre più efficace e compiuto il settore.

Si prevede in primo luogo che nei casi appropriati, la domanda dovrebbe contenere una dichiarazione che indichi se, prima del deposito del ricorso, abbia avuto luogo una mediazione od altro processo di risoluzione dei conflitti extra-giudiziale, nonché una dichiarazione relativa al fatto che sussistano motivi che ostacolino una definizione bonaria[6].

Tale formulazione è simile a quella che è stata recentemente introdotta nel codice di procedura civile (§ 253 c. 3 ZPO), ma aggiunge l’inciso “nei casi appropriati”, perché ci sono giustamente situazioni in cui la mediazione non costituisce strumento adeguato a risolvere il conflitto.

In particolare, ai sensi del § 36 FamFG – siamo nel procedimento di primo grado in materia familiare – le parti possono raggiungere un accordo su diritti disponibili, ed anche il giudice è tenuto a perseguire la via del tentativo di componimento bonario, salvo il rispetto della legge sulla protezione dalla violenza.

[15] Sauf justification d’un motif légitime tenant à l’urgence ou à la matière considérée, en particulier lorsqu’elle intéresse l’ordre public, l’assignation précise également les diligences entreprises en vue de parvenir à une résolution amiable du litige….

[16] Sauf justification d’un motif légitime tenant à l’urgence ou à la matière considérée, en particulier lorsqu’elle intéresse l’ordre public, la requête ou la déclaration qui saisit la juridiction de première instance précise également les diligences entreprises en vue de parvenir à une résolution amiable du litige…

[17] S’il n’est pas justifié, lors de l’introduction de l’instance et conformément aux dispositions des articles 56 et 58, des diligences entreprises en vue de parvenir à une résolution amiable de leur litige, le juge peut proposer aux parties une mesure de conciliation ou de médiation.

[18] Condizione delle persone (stato civile, affiliazione, cambio di nome, la nazionalità;), famiglia (matrimonio, divorzio, i diritti dei genitori, l’adozione, gli alimenti, l’eredità, ecc …;), diritti immobiliari, brevetti e diritto dei marchi; azioni possessorie.

[19] Art. 755

Le défendeur est tenu de constituer avocat dans le délai de quinze jours, à compter de l’assignation

[20] Art. 756

Dès qu’il est constitué, l’avocat du défendeur en informe celui du demandeur ; copie de l’acte de constitution est remise au greffe.

[21] Art. 757

 Le tribunal est saisi, à la diligence de l’une ou l’autre partie, par la remise au greffe d’une copie de l’assignation.

Cette remise doit être faite dans les quatre mois de l’assignation, faute de quoi celle-ci sera caduque, à moins qu’une convention de procédure participative ne soit conclue avant l’expiration de ce délai. Dans ce cas, le délai de quatre mois est suspendu jusqu’à l’extinction de la procédure conventionnelle.

La caducité est constatée d’office par ordonnance du président ou du juge saisi de l’affaire.

A défaut de remise, requête peut être présentée au président en vue de faire constater la caducité.

[22] LOI n° 2016-1547 du 18 novembre 2016 de modernisation de la justice du XXIe siècle

[23] Entrato in vigore l’11 di maggio 2017

[24] Décret n°2017-892 du 6 mai 2017.

[25] Art. 2062 c. 1 c.c. novellato

La convention de procédure participative est une convention par laquelle les parties à un différend s’engagent

à œuvrer conjointement et de bonne foi à la résolution amiable de leur différend ou à la mise en état de leur

litige.

[26] Art. 1543 c. 2 cpc

 Elle peut aussi se dérouler dans le cadre de l’instance, aux fins de mise en état.

[27] a convention de procédure participative est, à peine de nullité, contenue dans un écrit qui précise : (omissis) 4° Le cas échéant, les actes contresignés par avocats que les parties s’accordent à établir, dans des conditions prévues par décret en Conseil d’Etat.

[28] Article 1546-3

Par actes contresignés par avocats précisés dans la convention de procédure participative, les parties peuvent

notamment :

1° Constater les faits qui ne l’auraient pas été dans la convention ;

2° Déterminer les points de droit auxquels elles entendent limiter le débat, dès lors qu’ils portent sur des

droits dont elles ont la libre disposition ;

3° Convenir des modalités de communication de leurs écritures ;

4° Recourir à un technicien ;

5° Désigner un conciliateur de justice ou un médiateur.

[29] Les parties, assistées de leurs avocats, œuvrent conjointement, dans les conditions fixées par convention, à

un accord mettant un terme au différend qui les oppose ou à la mise en état de leur litige.

[30] Article 1546-1

Le juge ordonne le retrait du rôle lorsque les parties l’informent de la conclusion d’une convention de procédure participative.

[31] Les parties qui, au terme de la convention de procédure participative, parviennent à un accord réglant en tout ou partie leur différend peuvent soumettre cet accord à l’homologation du juge.

Lorsque, faute de parvenir à un accord au terme de la convention conclue avant la saisine d’un juge, les parties soumettent leur litige au juge, elles sont dispensées de la conciliation ou de la médiation préalable le cas échéant prévue.

Le deuxième alinéa n’est pas applicable aux litiges en matière prud’homale.

[32] Models amiables de résolution des differénds.

[33] A peine d’irrecevabilité que le juge peut prononcer d’office, la saisine du tribunal d’instance par déclaration au greffe doit être précédée d’une tentative de conciliation menée par un conciliateur de justice, sauf : 1o Si l’une des parties au moins sollicite l’homologation d’un accord ; 2o Si les parties justifient d’autres diligences entreprises en vue de parvenir à une résolution amiable de leur litige ; 3o Si l’absence de recours à la conciliation est justifiée par un motif légitime.

[34] CASE OF MOMČILOVIĆ v. CROATIA http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-152990

[35] Art. L. 114-1. – Lorsque le Conseil d’Etat est saisi d’un litige en premier et dernier ressort, il peut, après avoir obtenu l’accord des parties, ordonner une médiation pour tenter de parvenir à un accord entre celles-ci selon les modalités prévues au chapitre III du titre Ier du livre II.

[36] Ipotesi questa che richiama l’antica disciplina varata da Carlo IX nel 1563 con la costituzione dei Tribunali di Commercio.

[37] Art 5 LOI n° 2016-1547 du 18 novembre 2016 de modernisation de la justice du XXIe siècle

Médiation à l’initiative des parties « Art. L. 213-5. – Les parties peuvent, en dehors de toute procédure juridictionnelle, organiser une mission de médiation et désigner la ou les personnes qui en sont chargées.

« Elles peuvent également, en dehors de toute procédure juridictionnelle, demander au président du tribunal administratif ou de la cour administrative d’appel territorialement compétent d’organiser une mission de médiation et de désigner la ou les personnes qui en sont chargées, ou lui demander de désigner la ou les personnes qui sont chargées d’une mission de médiation qu’elles ont elles-mêmes organisée. « Le président de la juridiction peut déléguer sa compétence à un magistrat de la juridiction. « Lorsque le président de la juridiction ou son délégataire est chargé d’organiser la médiation et qu’il choisit de la confier à une personne extérieure à la juridiction, il détermine s’il y a lieu d’en prévoir la rémunération et fixe le montant de celle-ci. « Les décisions prises par le président de la juridiction ou son délégataire en application du présent article ne sont pas susceptibles de recours. « Lorsqu’elle constitue un préalable obligatoire au recours contentieux en application d’une disposition législative ou réglementaire, la médiation présente un caractère gratuit pour les parties. « Art. L. 213-6. – Les délais de recours contentieux sont interrompus et les prescriptions sont suspendues à compter du jour où, après la survenance d’un différend, les parties conviennent de recourir à la médiation ou, à défaut d’écrit, à compter du jour de la première réunion de médiation. « Ils recommencent à courir à compter de la date à laquelle soit l’une des parties ou les deux, soit le médiateur déclarent que la médiation est terminée. Les délais de prescription recommencent à courir pour une durée qui ne peut être inférieure à six mois.

[38] A titre expérimental et pour une durée de quatre ans à compter de la promulgation de la présente loi, les recours contentieux formés par certains agents soumis aux dispositions de la loi no 83-634 du 13 juillet 1983 portant droits et obligations des fonctionnaires à l’encontre d’actes relatifs à leur situation personnelle et les requêtes relatives aux prestations, allocations ou droits attribués au titre de l’aide ou de l’action sociale, du logement ou en faveur des travailleurs privés d’emploi peuvent faire l’objet d’une médiation préalable obligatoire, dans des conditions fixées par décret en Conseil d’Etat.

[39] Article 7

A titre expérimental et jusqu’au 31 décembre de la troisième année suivant celle de la promulgation de la présente loi, dans les tribunaux de grande instance désignés par un arrêté du garde des sceaux, ministre de la justice, les dispositions suivantes sont applicables, par dérogation à l’article 373-2-13 du code civil. Les décisions fixant les modalités de l’exercice de l’autorité parentale ou la contribution à l’entretien et à l’éducation de l’enfant ainsi que les stipulations contenues dans la convention homologuée peuvent être modifiées ou complétées à tout moment par le juge, à la demande du ou des parents ou du ministère public, qui peut lui-même être saisi par un tiers, parent ou non. A peine d’irrecevabilité que le juge peut soulever d’office, la saisine du juge par le ou les parents doit être précédée d’une tentative de médiation familiale, sauf : 1) Si la demande émane conjointement des deux parents afin de solliciter l’homologation d’une convention selon les modalités fixées à l’article 373-2-7 du code civil ; 2) Si l’absence de recours à la médiation est justifiée par un motif légitime ; 3) Si des violences ont été commises par l’un des parents sur l’autre parent ou sur l’enfant.

Le spese di avvio per la mediazione sono dovute da chi utilizza il servizio

N. 05230/2015REG.PROV.COLL.

N. 02156/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 2156 del 2015, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e dal MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

l’UNIONE NAZIONALE DELLE CAMERE CIVILI (U.N.C.C.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio de Notaristefani di Vastogirardi e Francesco Storace, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Crescenzio, 20,

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
– avvocati Roberto NICODEMI, Maria AGNINO, Antonio D’AGOSTINO, Alessandra GULLO, Gemma SURACI, Monica MAZZENGA, Gabriella SANTINI, Laura NICOLAMARIA, Nicola PRIMERANO, Luigi RAPISARDA, Elisabetta ZENONI, Alessandra TOMBOLINI, Sabina MARONCELLI, Stefano AGAMENNONE, Silvia MONTANI, Elena ZAFFINO, Elisabetta Carla PICCIONI, Luciano CAPOGROSSI GUARNA, Giuliana SCROCCA, Maurizio FERRI, Matilde ABIGNENTE, Guido CARDELLI, Marco Fabio LEPPO, Alessandra ROMANINI, Claudio DRAGONE, Roberta D’UBALDO, Corrado DE MARTINI, Arnaldo Maria MANFREDI, Eugenio GAGLIANO, Fabio CAIAFFA e Daniela BERTES, rappresentati e difesi dall’avv. Gemma Suraci, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via degli Scipioni, 237;
– ASSOCIAZIONE PRIMAVERA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Marco Benucci, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, corso d’Italia, 29;

per l’annullamento in parte qua,

previa sospensiva,

della sentenza del T.A.R. del Lazio nr. 1351/2015, notificata in data 5 marzo 2015.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) e l’appello incidentale dalla stessa proposto, nonché gli atti di intervento in epigrafe meglio indicati;

Viste le memorie prodotte dall’appellata U.N.C.C. (in data 25 settembre 2015) e dagli intervenienti avv.ti Nicodemi e altri (in data 5 ottobre 2015) a sostegno delle rispettive difese;

Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 1694 del 22 aprile 2015, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2015, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. dello Stato Colelli per le Amministrazioni appellanti, gli avv.ti de Notaristefani di Vastogirardi e Storace per l’U.N.C.C., l’avv. Suraci per gli intervenienti in epigrafe meglio indicati e l’avv. Michele Basile (in dichiarata delega dell’avv. Benucci) per l’ulteriore interveniente Associazione Primavera Forense;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensiva, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in parziale accoglimento del ricorso proposto dall’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.), ha parzialmente annullato il decreto nr. 180 del 18 ottobre 2010, recante il regolamento per la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi.

A sostegno dell’appello, è stata dedotta, con tre distinti mezzi, l’erroneità della sentenza in epigrafe:

1) nella parte in cui ha disatteso l’eccezione preliminare di carente legittimazione in capo all’originaria ricorrente;

2) nella parte in cui ha ritenuto illegittimi, e quindi annullato, i commi 2 e 9 dell’art. 16 del precitato decreto, relativi alle spese di avvio ed alle spese di mediazione;

3) nella parte in cui ha ritenuto illegittimo, e quindi annullato, l’art. 4, comma 1, lettera b), del medesimo decreto, relativo all’obbligo anche per gli avvocati di svolgere la formazione obbligatoria prevista per i mediatori.

Si è costituita l’appellata U.N.C.C., la quale, oltre a controdedurre a sostegno dell’infondatezza dell’appello e a chiederne la reiezione, ha altresì proposto appello incidentale, censurando la sentenza de qua nella parte in cui è stata respinta, fra le varie questioni di legittimità sollevate dalla ricorrente, quella relativa al contrasto degli artt. 5, comma 2, del citato d.m. con l’art. 24 Cost.

Nel corso del giudizio, si sono avuti, altresì, in adesione all’appello principale:

– l’intervento ad adiuvandum degli avvocati Roberto Nicodemi ed altri, nella qualità di mediatori iscritti all’albo;

– l’intervento ad adiuvandum, a valere quale opposizione di terzo ex art. 109, comma 2, cod. proc. amm., dell’Associazione Primavera Forense, a sua volta organismo di mediazione regolarmente iscritto.

Quest’ultima, oltre a concludere nel senso della fondatezza del gravame, assume in limine l’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica, quale controinteressato, ad almeno un organismo di mediazione.

Alla camera di consiglio del 21 aprile 2015, questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata formulata in via incidentale dalle Amministrazioni appellanti.

Di poi, parte appellata ha ulteriormente argomentato con memoria a sostegno delle proprie tesi.

All’udienza del 27 ottobre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla regolamentazione attuativa dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, nr. 28, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, nr. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in materia civile e commerciale, come prescritto dalla direttiva 21 maggio 2008, nr. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.

In primo grado, l’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) ha impugnato il decreto del Ministro della Giustizia, adottato di concerto col Ministro dell’Economia e delle Finanze, nr. 180 del 18 ottobre 2010, lamentandone l’illegittimità sotto plurimi profili, anche sulla base della ritenuta illegittimità costituzionale di retrostanti disposizioni del citato d.lgs. nr. 28 del 2010.

Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, in parziale accoglimento delle deduzioni di parte attrice, ha sollevato (ord. 12 aprile 2011, nr. 3202) questione di legittimità costituzionale di alcune norme dell’impugnato decreto, concernenti fra l’altro l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione ai fini dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie.

Sulla questione la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza nr. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale ha annullato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’art. 5, comma 1, del d.lgs. nr. 28 del 2010, nonché una serie di disposizioni a questo correlate, ritenendo viziata da eccesso di delega la previsione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di controversie.

A sèguito dell’intervento del giudice delle leggi, e dopo un primo tentativo di modifica della normativa regolamentare non andato a buon fine a causa della mancata conferma in sede di conversione del decreto-legge in cui era stata inserita, il legislatore è nuovamente intervenuto con l’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, nr. 98, che ha reintrodotto, inserendo nell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010 il nuovo comma 5-bis (nonché attraverso l’introduzione di ulteriori disposizioni complementari), sia l’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione che la sua configurazione come condizione di procedibilità dell’azione.

Con la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio, il T.A.R. capitolino:

– ha, da un lato, respinto la maggior parte delle doglianze attoree, ritenendo manifestamente infondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale articolate avverso la nuova disciplina medio tempore intervenuta;

– ha, per altro verso, accolto il ricorso limitatamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 28/2010 (reputando illegittima la perdurante previsione della debenza delle spese di avvio e delle spese di mediazione, a fronte del principio di gratuità della mediazione contenuto nella normativa primaria) ed al comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione obbligatoria ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della qualifica di mediatori di diritto).

2. La ricostruzione che precede, in parte ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

3. Tutto ciò premesso, l’appello dell’Amministrazione si appalesa in parte fondato e pertanto meritevole di accoglimento, mentre invece non è meritevole di favorevole delibazione l’appello incidentale dell’originaria ricorrente.

4. In ordine logico, è proprio l’appello incidentale a dover essere prioritariamente scrutinato, atteso:

a) che la sua ipotetica fondatezza comporterebbe la possibile incostituzionalità delle stesse norme primarie a monte della censurata disciplina regolamentare;

b) che siffatta questione, ove ritenuta non manifestamente infondata, imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale anche d’ufficio (e, quindi, indipendentemente da ogni rilievo circa la legittimazione processuale dell’originaria ricorrente, come riproposto nel primo motivo d’appello dell’Amministrazione).

4.1. Con la propria impugnazione incidentale, l’U.N.C.C. reitera una sola delle questioni di legittimità costituzionale che il primo giudice ha ritenuto manifestamente infondate, e segnatamente quella relativa al comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010, il quale, in un contesto nuovamente connotato dall’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione e dalla sua strutturazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materia (per effetto della “novella” introdotta dal d.l. nr. 69 del 2013), consente al giudice, anche in sede di appello, di imporre alle parti l’esperimento della procedura di mediazione.

4.2. Al riguardo, il primo giudice ha escluso che la nuova disciplina introdotta nel 2013, pur stabilendo nei termini visti l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione, comportasse una significativa incisione del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., essendo essa circondata da cautele idonee a prevenire un serio pregiudizio di tale diritto: in tal senso andrebbero le previsioni dell’assistenza obbligatoria del difensore, della specializzazione dei mediatori e, soprattutto, della circoscrizione dell’obbligatorietà al solo “primo incontro” di cui al comma 1 dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, all’esito del quale l’interessato può decidere di non proseguire nella procedura di mediazione.

4.3. In critica a tali argomenti, parte appellante incidentale rileva che le garanzie previste a favore del privato sarebbero solo apparenti, essendo per un verso limitata nel tempo la previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza del difensore in sede di mediazione, e sotto altro profilo non idoneamente assicurata la specializzazione e l’esperienza di diritto dei mediatori (e ciò malgrado la contestuale previsione per cui gli stessi avvocati sono “mediatori di diritto”).

Soprattutto, l’appellante incidentale muove dal presupposto che la previsione di cui al ricordato comma 2 dell’art. 5 obblighi l’interessato, a sèguito dell’ordinanza del giudice che impone la mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione, non già a limitarsi al primo incontro, ma ad esperire la vera e propria procedura di mediazione.

4.4. La Sezione non condivide tale ultimo avviso, che appare in frontale contrasto col dettato normativo.

Infatti, al di là di quanto appresso meglio si dirà in ordine all’essere il primo incontro parte integrante del procedimento di mediazione e non un qualcosa di estraneo ad esso, rileva il chiaro tenore testuale del comma 2-bis del medesimo art. 5, il quale, con previsione certamente applicabile anche alla fattispecie regolata dal precedente comma 2, dispone: “…Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.

Quanto ai più specifici rilievi svolti nell’appello incidentale, questi sono basati su una svalutazione della rilevanza e della centralità del momento formativo e dell’aggiornamento dei mediatori, il quale invece, come pure meglio appresso si rileverà, costituiscono parte essenziale del substrato comunitario dell’istituto de quo, di modo che non è possibile predicare l’illegittimità costituzionale delle previsioni in questione sulla base di una mera visione “pessimistica” del come in concreto detta formazione sarà attuata (come sembra fare parte appellante incidentale, allorché assume che i cittadini saranno lasciati in balìa di mediatori che non saranno necessariamente “esperti di diritto”).

4.5. In definitiva, la Sezione ritiene di dover condividere e confermare le conclusioni esposte nella sentenza impugnata in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui riproposta: nel senso che, una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale.

5. Proseguendo nella disamina delle questioni preliminari, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure sollevata nell’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Primavera Forense, laddove si assume il difetto di corretta instaurazione del rapporto processuale a cagione della mancata evocazione in giudizio di almeno un organismo di mediazione, quale controinteressato nei cui confronti il provvedimento impugnato era produttivo di effetti.

Tale questione può certamente essere delibata nella presente sede, atteso che:

a) va intesa quale vero e proprio motivo di impugnazione, essendo articolata in un atto di intervento in appello scaturito da conversione di opposizione di terzo proposta dinanzi al giudice di primo grado, giusta il disposto dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.;

b) afferisce alla rituale instaurazione del rapporto processuale, e pertanto può pacificamente essere formulata anche per la prima volta in grado di appello.

Tuttavia, l’eccezione è infondata, dovendo in questa sede ribadirsi il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, in caso di impugnazione di norme regolamentari, non possono individuarsi soggetti aventi posizione formale di controinteressati, a nulla rilevando in tal senso la posizione dei destinatari delle disposizioni generali e astratte contenute nel regolamento impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, nr. 3717; id., sez. V, 17 maggio 2005, nr. 6420).

6. Ciò premesso, col primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione reitera l’eccezione, disattesa dal primo giudice, di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione, non potendo riconoscersi sufficiente rappresentatività all’Unione istante in primo grado.

Il mezzo è infondato, atteso che, come già rilevato in sede cautelare, va ascritta a mero errore l’indicazione nell’epigrafe del ricorso (e della sentenza di primo grado) del nominativo della ricorrente come “Unione Nazionale delle Camere Civili di Parma”, risultando documentate dallo statuto, da un lato, la rappresentatività nazionale dell’associazione, e, per altro verso, che l’originaria sede in Parma dipendeva unicamente dalla previsione che, nelle more dell’individuazione di una sede in Roma, fissava automaticamente la sede sociale presso lo studio professionale del Presidente pro tempore (il quale, al momento della proposizione del ricorso, era appunto un avvocato del foro di Parma).

7. Parzialmente fondati invece, come più sopra anticipato, sono il secondo e il terzo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con i quali si censurano le due statuizioni di annullamento della disciplina regolamentare cui è pervenuto il primo giudice.

8. Principiando dal secondo mezzo, questo attiene alla parte della sentenza impugnata nella quale è stata ritenuta l’illegittimità dei commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 180 del 2010, nei quali rispettivamente si prevedeva che: “…Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”, e che: “…Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione”.

8.1. Tali previsioni, comportanti sempre e comunque l’erogazione di somme da parte dell’utente anche in caso di esito negativo del primo incontro, sono state ritenute dal primo giudice incompatibili con l’innovativa disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, secondo cui: “…Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.

Siffatta incompatibilità viene in sentenza ricondotta a un difetto di coordinamento fra la “novella” di cui al d.l. nr. 69/2013 ed il preesistente impianto normativo, avendo la prima introdotto il principio della gratuità del ricorso alla mediazione, sia pure limitatamente alla fase del “primo incontro”.

8.2. A fronte di tali argomentazioni, la Sezione reputa fondate le opposte deduzioni della difesa erariale, nei limiti e per le ragioni già in parte anticipate in fase cautelare e che di sèguito si vanno ulteriormente a sviluppare.

8.2.1. Innanzi tutto, è opportuno rilevare l’infelicità della formula impiegata dalla novella del 2013 da ultimo citata, la quale per la prima volta fa uso del generico termine “compenso”, inserendosi in un tessuto normativo in cui il corrispettivo dovuto per i servizi di mediazione è qualificato più tecnicamente come “indennità”; quest’ultima terminologia, oltre che nelle norme primarie anteriori al ricordato intervento del 2013, si rinviene anche nell’art. 1 del censurato d.m. nr. 180/2010, laddove l’indennità di mediazione è definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h).

Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato art. 16, si compone di varie voci, fra le quali rilievo primario hanno le già richiamate “spese di avvio” e “spese di mediazione”.

8.2.2. Tanto premesso, nessun dubbio può porsi per le spese di mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del richiamato comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro.

Diverse considerazioni vanno svolte per le spese di avvio, indipendentemente dal se le si voglia considerare comprensive delle “spese vive documentate” ovvero a latere di esse (sul punto, il dettato del comma 9 sconta una certa ambiguità): ed invero, mentre non può seriamente essere negato il rimborso delle spese vive (sul che la stessa originaria ricorrente avendo chiarito di non avere alcunché da opporre), anche per le residue spese disciplinate dal medesimo comma 9 deve ritenersi la loro estraneità alla nozione di “compenso” – intesa quale corrispettivo di un servizio prestato – introdotta dal comma 5-ter dell’art. 17.

Ed invero, come efficacemente dimostrato dalla difesa erariale e dagli intervenienti ad adiuvandum, le spese di avvio, quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione dell’entità del servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione), vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie; quanto sopra risulta confermato dal riconoscimento, a favore di chi tali spese abbia erogato, di un correlativo credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al primo incontro (art. 20, d.lgs. nr. 28/2010).

In altri termini, posto che il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro come condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio.

8.3. A fronte dei rilievi fin qui svolti, che la Sezione ha in parte anticipato in fase cautelare, parte appellata nella propria memoria conclusiva rileva:

– che quanto evidenziato in ordine alla non riconducibilità delle spese di avvio alla nozione di “compenso”, di cui all’art. 17, comma 5-ter, del d.lgs. nr. 28/2010, sarebbe bensì vero in astratto, ma trascurerebbe di considerare la circostanza, dimostrata dall’esperienza pratica, che le spese de quibusfiniscono di fatto per coprire non solo i costi di esercizio degli organismi di mediazione (come era negli intenti del legislatore), ma anche e per buona parte i loro compensi, di modo che dovrebbe in ogni caso concludersi che esse, per come sono state quantificate e per la loro incidenza sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, finirebbero comunque per risolversi in una prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;

– che, quanto alla previsione del riconoscimento di un credito d’imposta a favore di chi si sia avvalso della mediazione, questa andrebbe in realtà riferita alla sola ipotesi in cui dopo il primo incontro vi sia stato accesso alla mediazione, ma questa abbia poi avuto esito negativo, e non anche al caso in cui non si sia andati oltre il primo incontro.

8.3.1. Con riguardo al primo aspetto, la Sezione osserva anzi tutto che il tema della quantificazione dell’indennità di mediazione, e specificamente dell’incidenza delle spese di avvio sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, risulta estraneo al perimetro del presente giudizio, non essendo stato in prime cure il d.m. nr. 180/2010 impugnato nella parte relativa alla determinazione dei criteri di calcolo dell’indennità.

Al di là di tale assorbente rilievo, la descrizione degli effetti “perversi”, che si paventa possano scaturire da una determinata opzione normativa, non è evidentemente ex se sufficiente a farne inferire l’illegittimità; né può predicarsi una violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. in presenza di una disposizione primaria, quale è l’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, che, nel disciplinare i criteri e le modalità per il reperimento delle risorse atte a consentire il funzionamento degli organismi di mediazione, in via di eccezione esonera l’utenza che si avvalga dell’obbligatorio primo incontro, in caso di esito infruttuoso di esso, dalla sola corresponsione di somme a titolo di “compenso” (nel senso sopra precisato).

8.3.2. Quanto al secondo rilievo, esso muove da un presupposto – l’estraneità del “primo incontro” al procedimento di mediazione propriamente detto – che non solo non trova alcun aggancio testuale nell’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 (il quale, nel disciplinare il credito d’imposta, non impiega affatto espressioni univoche nel senso di circoscrivere la detraibilità alle sole somme erogate in caso di effettivo accesso alla mediazione), ma – come detto – appare smentito da altre disposizioni del medesimo decreto, e in primo luogo dall’art. 8, alla cui stregua il primo incontro rientra indiscutibilmente nel “procedimento” di mediazione.

In ogni caso, è evidente alla stregua di quanto sopra esposto che la disciplina riveniente dall’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 costituisce solo una conferma, ulteriore e ad abundantiam, delle conclusioni che devono essere raggiunte aliunde, nel senso della riconducibilità delle spese di avvio non già al concetto di “compenso” degli organismi di mediazione, ma piuttosto a un costo di esercizio che il legislatore nella propria discrezionalità ha inteso porre a carico dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo servizio.

9. Col proprio terzo motivo d’appello, l’Amministrazione censura il capo di sentenza con cui è stato annullato il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del d.m. nr. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione.

A tale conclusione il primo giudice è giunto sulla base del duplice rilievo che, a norma dell’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. nr. 28/2010, gli avvocati sono mediatori di diritto (potendo dunque iscriversi de plano al relativo registro), e che essi hanno dei propri peculiari percorsi di formazione e aggiornamento previsti dalla legge, nei quali può certamente rientrare anche la preparazione allo svolgimento dell’attività di mediatore.

La Sezione, pur senza condividere taluni degli argomenti sul punto impiegati dalla difesa erariale (e, in particolare, quello imperniato sulla pretesa diversità “culturale” che esisterebbe, in relazione alla possibilità di accesso del cittadino alla giustizia, fra l’atteggiamento tipico dell’avvocato e quello richiesto al mediatore), reputa fondate le critiche mosse in parte qua alla sentenza in epigrafe.

Ed invero, non può sussistere dubbio sulla diversità “ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi ordini professionali – i quali possono bensì prevedere anche una preparazione all’attività di mediazione, ma solo come momento eventuale e aggiuntivo rispetto ad una più ampia e variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento – rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare che il rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale costituzionalmente garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a intervenire in tale delicato momento.

Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia (e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui: “…Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”), alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate.

A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte qua della disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense (…)”.

10. In conclusione, e riepilogando, s’impone il parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e le reiezione del ricorso di primo grado quanto all’art. 16, comma 9, ed all’art. 4, comma 3, lettera b), del d.m. nr. 180/2010 (fermo restando, per il resto, quanto statuito dal primo giudice).

11. In considerazione della complessità e novità delle questioni esaminate, nonché della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

– accoglie l’appello principale, nei limiti di cui in motivazione;

– respinge l’appello incidentale;

– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art. 16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, confermando per il resto la sentenza medesima.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/11/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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