Due sommesse considerazioni sull’invito ad avanzare proposta conciliativa


Ci sono giudici che invitano il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti.

Comprendo il lodevole intento dei magistrati, ma questo tipo di richiesta come mediatore mi pare inaccettabile.

Intanto perché il mediatore è un soggetto indipendente; l’indipendenza è uno dei principi su cui batte la stessa UE nei recenti provvedimenti in materia di consumo, ma ancora prima con le raccomandazioni del ’98 e del 2001. Il mediatore deve essere indipendente dalle parti, dall’Organismo e da qualunque sorta di potere. In diverse legislazioni dell’Est questo punto è specificato espressamente dalla legge. Quando ne ho approfondito lo studio, mi pareva una specificazione eccessiva. Oggi invece ne capisco esattamente la portata. Tra il giudice ed il mediatore non ci può essere un vincolo gerarchico pena la morte della mediazione. Non esiste alcuna legislazione al mondo che consenta al giudice di imporre al mediatore alcunché, nemmeno in quei paesi ove l’esecutivo è avvezzo al controllo di ogni forma di organizzazione sociale. Nemmeno in Cina dove la mediazione è tesa all’educazione del popolo si è stabilito un vincolo gerarchico tra magistratura e mediatori. L’unica cosa che in alcuni paesi si consente al giudice (ad esempio in Francia con la mediazione giudiziaria) è quella di scegliere un mediatore di sua fiducia e gradimento. La qual cosa mi pare accettabile perché implica un riconoscimento di capacità ed esperienza.

Il secondo motivo per cui mi pare inaccettabile riguarda il modello. Già in sede di progetto del decreto 28/10 si considerava la proposta del mediatore come un pesce fuor d’acqua. Si poteva in allora rispondere che ci sono diverse legislazioni che la prevedono, ma è anche vero che nessuna legislazione prevede delle sanzioni per la mancata accettazione della proposta. La nostra disciplina ha preso una pagina sì ed una pagina no da altre esperienze: piccolo problema è che le sanzioni processuali per mancata accettazione riguardano l’arbitrato endoprocessuale e non la mediazione. Nei paesi ove il giudice sanziona l’impugnazione del lodo quest’ultimo è reso da un giudice in pensione o da un avvocato con quaranta anni di foro ed è dunque abbastanza normale che ci sia coincidenza tra lodo e sentenza. Ma questi sono discorsi vecchi e strafatti.

Il modello dell’avanzamento di proposta è ben più antico del decreto 28 o della legislazione statunitense. Lo ritroviamo nelle XII tavole, nella legislazione di Federico II, in quella savoiarda del XVIII secolo, nei nostri articoli da 198 a 200 del Codice di rito. E’ stato uno schema molto usato: il Praetor delegava il sequester a conciliare e ad emettere un parere in difetto, il Baiulo nominava tre boni homines che tentavano la conciliazione e poi in difetto riferivano al Baiulo che decideva, il tribunale in materia di società nominava un arbitro conciliatore che conciliava e in difetto rendeva parere. E gli esempi che potrei fare sono innumerevoli. Ma tutti questi soggetti erano tecnici che operavano evidentemente nell’ambito di un istituto valutativo, quale è stata per millenni la conciliazione (ed oggi quell’istituto si chiama early neutral evaluation e prevede l’assoluta volontarietà sia della sua scelta sia del’attuazione del parere ricevuto: non ci sono sanzioni d’alcun tipo).

La mediazione è un’altra cosa. La mediazione lavora sul conflitto e semplicemente ripristina la comunicazione. Piegarla ad un altro utilizzo significa snaturarla completamente e rendere il mediatore un impiegato peraltro non pagato degli uffici giudiziari.

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