L’istituto della mediazione civile e commerciale di recente normato in Italia dal decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 possiede diversi elementi in comune con la psicoanalisi o psicologia dinamica.
I cenni che seguiranno in merito si rivolgono ovviamente a coloro che non sono avvezzi allo studio ed all’utilizzo delle discipline psicologiche e dunque la trattazione non ha alcuna pretesa di completezza, né tanto meno di informazione scientifica.
Un’attenta analisi delle discipline potrebbe portare tuttavia un semplice giurista quale io sono a ritenere che i sistemi di ordine negoziato e la psicoanalisi abbiano antenati comuni.
È un fatto comunque che la conciliazione fosse praticata già da alcuni millenni in quei luoghi da cui Freud trasse i preziosi reperti archeologici che stanno alla base della sua ricerca sulla psiche.
Anche l’oggetto della psicologia dinamica può dare conforto alla impostazione indicata dal momento che la disciplina investe la soggettività, il mondo emozionale, i legami affettivi, le modalità dei rapporti interpersonali, dei conflitti e delle reazioni difensive.
Al mediatore si chiede di approfondire proprio questi ultimi universi ed è un peccato che nel nostro paese la discussione abbia preso subito e quasi in esclusiva, una piega giuridica; anche se ciò è comprensibile proprio alla luce della concezione freudiana che vede SUPER IO come depositario delle norme e del costume, come difensore di un IO che dopo essersi ritagliato in ES un piccolo spazio, un disco germinale su un tuorlo d’uovo, ha bisogno di un qualche comando che permetta alla sua coscienza di sublimare tendenze vitali, ma decisamente irrazionali.
E poi si sa, ES è atemporale e dunque l’Io ha bisogno di sapere che una certa situazione è regolata, che c’è una norma vigente e dunque un periodo di tempo determinato in cui vivere ed in cui rinvenire un baluardo anche nei confronti del principio di realtà.
Secondo Freud la maggior parte della vita psichica è inconscia: nei corsi da mediatore si impara appunto e addirittura che l’inconscio copre il 93% e che esso è di primario interesse per il facilitatore.
Sia in psicoanalisi, sia in mediazione si ritrovano la plasticità e la flessibilità e dunque l’assenza di protocolli standardizzati, l’evitamento delle forzature, la neutralità dell’operatore, l’aiuto altrui, lo studio della mimica, del comportamento e del modo di parlare, lo scambio delle parole, la segretezza e confidenzialità, un particolare legame emotivo tra operatore e soggetto, il poter comunicare quello che viene in mente senza la paura di ricevere una critica, una mente libera da preventive consapevolezze, lo studio della propria personalità, la consapevolezza della mancanza di identità tra conscio e psichico, lo studio di elementi apparentemente insignificanti e mancanti, il fatto che siano i portatori del conflitto a porgere la soluzione, il fatto che si consideri sempre incerto l’esito della cura/procedura, effetti dipendenti dall’umanità dell’operatore (capacità relazionale, sensibilità, intuizione, empatia, esperienza), l’indeterminatezza del fattore tempo, la calibratura delle distanze, il “cambio” dei ricordi.
Ci sono ovviamente anche alcune differenze: i soggetti coinvolti in una mediazione sono almeno tre; in psicoanalisi sono invece due. Il setting si presenta poi diverso: in psicoanalisi si pratica la registrazione delle sedute che in mediazione civile e commerciale non è consentita; si utilizza inoltre lo specchio bidirezionale (che ritroviamo anche nella mediazione familiare); l’analista inoltre siede alle spalle del paziente che è disteso su un lettino, il mediatore civile e commerciale e coloro che mediano sono al contrario in posizione quasi frontale ed ai vertici del triangolo equilatero iscritto all’interno di un tavolo rotondo.
L’obiettivo della psicoanalisi è poi la cura dell’IO, quello della mediazione è la cura del rapporto in contestazione, cura però che passa attraverso il raggiungimento della consapevolezza in capo al mediante di quelle che sono le sue esigenze.
Detto ciò in generale possiamo rinvenire le rappresentazioni freudiane, la “gestione delle topiche”, in vari momenti della procedura di mediazione.
Il cammino personale che Sigmund Freud ci descrive ne L’Introduzione alla psicoanalisi parte dall’analisi degli atti mancati (lapsus, dimenticanze ecc.) per arrivare allo studio del sogno che avrebbe con gli atti mancati diverse analogie, il quale sogno è collegato ad un desiderio espresso nei giorni precedenti oppure è dettato da bisogni primari (fame, sete): non è un caso, in altre parole, se un condannato a morire di fame sogni un banchetto succulento. Alla luce di questa considerazione sembrano peraltro quasi scontate le conclusioni di Maslow: chi ha fame non pensa ai suoi bisogni di appartenenza, ma al soddisfacimento del ventre e solo successivamente rivaluta la sua situazione; il mediatore quando media è ben conscio di questo stato di cose, anche se ignora per lo più che ciò è stato posto da secoli all’attenzione degli studiosi e non è dunque un portato degli anni ‘50.
Anche il cammino del mediatore inizia poi con lo studio di atti che possono apparire insignificanti (stretta di mano, sguardo e linguaggio analogico) e che sono invece strettamente connesse con le emozioni e le percezioni del mediante e giunge più avanti alle esigenze che sono state già evidenziate dal linguaggio del corpo e dal paraverbale.
Così come nella seduta psicanalitica l’operatore cerca di pervenire dal contenuto manifesto del sogno a quello latente (ossia ciò che dell’inconscio può arrivare alla coscienza) che è il reale significato onirico, allo stesso modo il mediatore cerca di far in modo che colui che media sostituisca/arricchisca la percezione della realtà che appare manifesta nel verbale, nel paraverbale e nel linguaggio del corpo della congiunta, con le esigenze, il valori e le credenze che sono latenti e che sono i veri oggetti con cui i mediante vuole soddisfarsi.
Normalmente, infatti, il mediante non manifesta le sue esigenze in congiunta, ma esterna un contenuto deformato costituito dai punti di vista giuridici.
Gli elementi manifesti del sogno sono spesso camuffamenti di elementi latenti che non riescono a superare la censura onirica.
Gli aspetti giuridici sono spesso deformazioni delle esigenze del mediante che riescono a superare la censura di SUPER IO, che sono cioè accettabili in quanto consoni ad una determinata norma od usanza sociale.
L’impostazione dell’avvocato che viene ripetuta dal cliente è in particolare un prolungamento di SUPER IO, un suo ausilio, nel momento in cui egli ricorda all’ES del suo assistito e a quello dell’avversario che bisogna essere in un certo modo e che non è possibile essere in un altro.
Per l’ES del cliente la deformazione e dunque la norma assume una funzione narcisistica in quanto è come se dicesse: “Ama me, se vuoi davvero amare ”, “Ama la norma di cui io sono custode, perché solo questo ti è concesso”.
E dunque il mediante, come se fosse ipnotizzato, ripete e mantiene fermo il concetto: “Io ho ragione, io sono creditore, io vinco la causa…”
Ma la deformazione è sempre una deformazione su cui incidono peraltro anche altri elementi di disturbo che andranno svelati in sessione privata, perché l’IO combatte con SUPER IO, ma anche con una realtà che considera immutabile e tutto ciò gli crea angoscia.
Il mediatore non ha ovviamente in congiunta a disposizione un sogno da interpretare, ma solo un linguaggio verbale di due persone che è opposto ed escludente e poi la motilità di ognuno che viene posta in essere su richiesta dell’ES di ciascuno.
E come si comporta?
Lascia appunto sfogare all’IO l’aggressività che proviene da ES sia tramite la motilità, sia tramite il verbale. Anche il terapeuta incentiva le associazioni libere del paziente e dunque lo lascia parlare senza muovere critica alcuna.
Ad un certo momento il mediatore effettua la parafrasi: non fa altro che tener conto delle interazioni intrapsichiche di colui che ha davanti e cerca di effettuarne un disinnesco.
Il mediatore dunque ripete quell’interpretazione che IO dà della realtà; ciò rafforza IO nei confronti del SUPER IO che lo critica continuamente e tiene nel contempo a bada SUPER IO che ha ispirato l’esposizione.
Allo stesso tempo il mediatore depura il punto di vista del mediante dalla negatività che arriva inevitabilmente da ES. ES diversamente prenderebbe il sopravvento con la sua aggressività, in definitiva con il sadismo.
Il meccanismo è in sintesi: “Attacco perché provo piacere”, “Perché negare l’altro ed i suoi principi, mi dà immediata soddisfazione”.
Se dunque l’attacco non genera sofferenza nell’avversario, perché la negatività è depurata ES non può provare piacere e l’aggressività scema.
La depurazione di negatività fa sì che l’altro che a sua volta sfoga la sua aggressività, non trovi un’aggressività contraria che determinerebbe un moltiplicarsi delle energie distruttive di ES.
Ancora un piccolo cenno alle sessione private.
In sessione riservata il mediante si comporta dapprima proprio come il sognatore che davanti alla bizzarria del suo sogno non vorrebbe riconoscerlo come propria produzione.
E alla domanda del mediatore che apre la sessione separata: ”Che cosa vorrebbe aggiungere che non ha inteso dire in sessione congiunta?”, risponde: ”Non ho nulla da dire… (pausa, ecco che opera la censura di SUPER IO così come avviene nel sogno), e poi aggiunge:” Ma veramente qualche cosa ci sarebbe…” (ecco che ES inizia a disvelarsi).
Così come lo psicanalista evoca le associazioni del sognatore perché consentono di passare dal sostituto deformato al materiale autentico sostituito, il mediatore cerca di far lasciare per un momento al mediante le configurazioni giuridiche che sono sostituti del vero materiale, le esigenze.
Per giungere dal contenuto manifesto del sogno a quello latente il terapista chiede al paziente la sua opinione perché nessuno meglio di quest’ultimo può recarla, stesso principio vale per il mediante che ha espresso in congiunta una data posizione.
Il sogno latente contiene più elementi del sogno manifesto, perché il sogno manifesto opera per condensazione, ossia fa un sunto del contenuto latente che è più vasto.
Così le esigenze del mediante di norma sono più numerose delle posizioni giuridiche; i punti di vista giuridici sono in fondo condensazioni delle esigenze, alludono alle esigenze che non sono state palesate in congiunta.
Ma può accadere anche il contrario: così come un elemento manifesto può corrispondere a più elementi latenti, un elemento latente può corrispondere più elementi manifesti e questa relazione reciproca si ritrova anche in mediazione tra punti di vista ed esigenze.
La prima fase della sessione privata è anche deputata a mostrare all’IO che la sua percezione della realtà è deformata dai filtri soggettivi, sociali e neurologici; ciò aiuta IO a liberarsi dal servaggio della sua percezione del reale e quindi dall’angoscia.
Il mediatore per entrare in empatia con ES e realizzare dunque un transfert (al pari del terapista) con il mediante utilizza con ES le stesse armi che SUPER IO utilizza con ES.
Dice dunque a SUPER IO con il rispecchiamento ed il ricalco “Puoi amare me, io sono come SUPER IO” e a SUPER IO “Io sono come te”; e così si apre un passaggio verso le esigenze che stanno in ES e che IO aveva provvisoriamente rimosso perché SUPER IO glielo aveva chiesto (Devi essere così= “Le posizioni giuridiche sono queste e sono definitive; non ti è permesso di cambiarle”).
Nonostante il lavoro empatico possono rimanere le angosce che derivano dal rigore di SUPER IO, così come l’aggressività di ES.
Il rigore di SUPER IO si manifesta primariamente con l’invocazione dei principi o valori.
Bisogna qui capire se i principi e valori che IO manifesta e che determinano un senso di colpa, una chiusura o comunque sempre un dispiacere per l’abbandono della prospettazione normativa, sono effettivamente tali oppure se siano chiamati in aiuto da SUPER IO, quando la prospettazione giuridica piano piano comincia a sgretolarsi con le prime ammissioni delle esigenze.
Nel primo caso il mediatore si deve fermare, nel secondo può aiutare ES a manifestare le pienamente le sue esigenze.
Tanto SUPER IO tornerà presto con l’analisi della M.A.A.N. (potrà essere però disinnescato con la time line) e poi avrà campo libero quando alle alternative deputate a soddisfare le esigenze verranno applicati i filtri normativi. L’indebolimento di SUPER IO è dunque solo temporaneo, anche se poi il suo ruolo si svolgerà sugli interessi riformulati e dunque su una nuova prospettazione del conflitto.
Quanto all’aggressività di ES in questo momento si manifesta sostanzialmente attraverso paura e rabbia.
Il mediatore anche in questo caso lascerà sfogare le emozioni e si limiterà a disinnescare con domande le percezioni selettive e le aspettative mancate che non sono altro che resistenze sul cammino del rinvenimento delle esigenze.
Questa breve e parziale riflessione non può che portare lo scrivente a ritenere essenziale in un corso da mediatore professionista la trattazione e lo studio dei principi che stanno alla base della psicologia dinamica.
Considerazioni interessanti e assolutamente veritiere, MA (concedimi l’osservazione) possono essere estremamente semplificate, con la possibilità di essere messe in pratica, con il “buon senso” senza complicarsi la vita con corsi teorici ed elucubrazioni mentali.
La persona renitente al dialogo, che si arrocca sulle sue posizioni egoiche, ci tiene a difendere quest’ultime poiché, altrimenti, il suo ego ne rimarrebbe sminuito (di solito adduce questioni di principio).
Semplicemente: se si soddisfa il suo ego con elogi o quant’altro, su altri aspetti non riguardanti le sue “posizioni assunte nel conflitto”, lo si può “far ragionare” su quest’ultime.
La psicoanalisi è fondamentale nella nostra attività di mediatori, ma se “estremizzata” ci distoglie dalla realtà che è molto più semplice.
Con ammirazione, cordialissimi saluti,
Marco Ambrogiani
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Ti ringrazio per il commento che spero contribuisca ad alimentare il dibattito sul tema. Un caro saluto
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certo che far capire ad avvocati , notai e giudici che un Mediatore , in quanto tale , deve lavorare piu’ sul lato psicologico delle parti , che non sull’aspetto tecnico giuridico , in un paese di “pandettari” disoccupati culturali, come i cosiddetti “operatori del diritto”, sara’ arduo .
Ma questa e’ la vera natura della Mediazione !
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Gentile signor Edgardo condivido la sua opinione circa la difficoltà a far comprendere che la mediazione è un fenomeno interdisciplinare. Non sono tuttavia d’accordo con Lei circa la restante parte del messaggio; non sono d’accordo in primo luogo sulle etichette che attribuisce alla nostra categoria: la civiltà odierna non è stata, per quanto mi consta, creata da Freud, ma dalle Pandette e da altri documenti millenari che Le consiglierei di approfondire prima di emettere giudizi frettolosi come quelli che ho letto. Il ruolo dei giuristi nella compilazione di quelle opere è indubitabile e se oggi non ci sbraniamo ancora tra di noi, lo dobbiamo a coloro che hanno creduto nel diritto ed hanno cercato di applicarlo. Non sono nemmeno d’accordo sul fatto che i giuristi siano duri di comprendonio. Quello che manca è spesso semplicemente il tempo di comprendere. La vita del legale, e qui parlo da legale, è giornalmente un “inferno” di adempimenti mentali. Il legislatore italiano avrebbe dovuto più saggiamente guardare ad esempio a paesi come l’Argentina ove si si sono passati anni a fornire le basi della mediazione prima di varare leggi peraltro sperimentali (l’esperimento in particolare là è durato 15 anni e solo nel 2011 si è varata la legge definitiva) in materia. Così i legali si sono potuti attrezzare logisticamente in primo luogo, perché come Lei sa bene il setting della mediazione richiede un determinato ambiente. Si è messo poi in moto un processo di riorganizzazione degli studi legali per cui si sono create delle sezioni avversariali e delle sezioni di negoziazione: ma c’è voluto tempo (anche negli Stati Uniti ci hanno messo decenni). Da noi almeno il 90% degli studi professionali è individuale e dunque era pretendere la luna poter pensare che chi già aveva difficoltà enormi a gestire l’avversariale potesse aggiungere part-time una professione nuova e complessa come quella del mediatore. Tutto qui, mi scusi ma non potevo esimermi. Cordiali saluti
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Se una persona di comune buon senso legge quanto da Lei descritto, non potrebbe che convenire .
Purtroppo io , dopo 45 e piu’ anni di frequentazione dell’ambiente industriale privato e della pubblica amministrazione( anche della giustizia), ho qualche difficolta’ a convenire con lei.
Citare gli esempi altrui e’ molto italiano, ma non risolve il problema perche’ non ci guardiamo allo specchio.
Il fatto di avere piu’ avvocati a Roma che in tutta la Francia vorra’ pure significare qualcosa ,al di la’ di un’ipotetica maggior litigiosita’ italica : da noi si ricorre in Cassazione per liti che , se si analizzassero a fondo (anche ex post) le motivazioni esistenziali ,avrebbero tutte le caratteristiche di contese che si sarebbero potute risolvere con la Mediazione (oggi) o con una Conciliazione eretta innanzi a Pretore (ieri).
La conciliazione eretta innanzi a “Pretore” e’ sempre esistita e si avvicinava molto alla mediazione di oggi : perche’ non se ne fa uso, o se ne e’ fatto poco ? perche’, sino al 1939, l’85% dellle contese civili era risolta con mediazione – spesso promossa e gestita dallo stesso Giudice incaricato, che quindi poi non andava piu’ a giudizio ?
La superfetazione di norme e leggi e’ stata determinata nel tempo da una classe dirigente nella quale non erano assenti operatori del diritto.
Certo e’ che l’abdicazione al proprio vero ruolo da parte di questa classe dirigente ha permesso che i burocrati decidessero del destino della Giustizia in Italia, naturalmente complicandola : “complicare le cose semplici attraverso l’inutile” e’ da sempre nel DNA di qualunque burocrate lasciato a se stesso.
Certo si poteva procedere con piu’ gradualita’, ma sappiamo TUTTI che non ne avremmo cavato molto, come in tutte le cose facoltative in Italia!
Perche’ gli avvocati non promuovono la mediazione e vi partecipano attivamente, cosi’ che in breve si possa acquisire la sufficiente esperienza per mettere a regime il sistema? Probabilmente non sarebbe nemmeno diseconomica, a guardar bene(sic!)
Perche’ insistono per una professionalita’ tecnico giuridica per un ruolo(il mediatore) che dovrebbe avere rilevanza piu’ psicologica e di relazioni che altro ? Cosi si crea solo un brutto doppione del Giudice o dell’Avvocato, con detrimento soprattutto del ruolo di quest’ultimo.
Perche’ continuano a leggere la mediazione come conflitto da risolvere , anziche’ come ricerca della soluzione piu’ efficace , vicina alle esigenze delle parti ,quindi piu’ GIUSTA (!)?
Perche’ non enfatizzano la positivita’del loro ruolo in Mediazione, quale elemento di garanzia per il Patrocinato nella gestione dei suoi Diritti Reali ?
Insomma: vogliamo riconoscere che il male sta, prima di tutto, IN noi non solo NEL sistema: Prima di scomodare esempi stranieri (ce ne sarebbero di bellissimi) perche’ non facciamo, tutti noi , a qualunque titolo impegnati nel mondo dell’amministrazione della Giustizia , una “rivisitazione” del nostro ruolo professionale, anche alla luce del fatto che siamo nel XXI secolo?.
Fatto cio’, non sarebbe male se si smettesse di contestare la Mediazione , ma si portasse tutti un contributo per una sua “intelligente e socialmente utile “ applicazione, nell’interesse di tutti .
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