Antiche abitudini

Pare che oggi in Veneto facciano una manifestazione per sostenere l’obiezione fiscale.

Non è un’idea originale: alla fine del XVIII secolo qualcuno aveva le stesse idee nell’Italia del Nord.

Lo sappiamo perché nel 1797 la Costituzione della Repubblica Cisalpina stabiliva questo principio: “Colui che senza violare apertamente le leggi, le elude coll’astuzia e coi raggiri, offende gli interessi di tutti, si rende indegno della loro benevolenza e della loro stima[1].

A differenza nostra dunque l’uomo preromantico non reagiva certo con la passività.

Ma ci sono anche altri principi di questa antica Carta che meritano di essere richiamati.

Ad esempio l’idea altrettanto chiara e geniale in tema di immigrazione: “Il forestiere maggiore di 20 anni, che dimora da cinque anni compiti nel territorio della Repubblica, e vi possiede uno stabilimento di industria, o di commercio, il quale occupi annualmente quattro persone almeno, diviene Cittadino attivo. Quando lo stabilimento occupi sei persone, basterà il domicilio di soli tre anni; se ne occupa otto o più, basterà quello di due[2].

Interessante era anche l’accenno ai principi evangelici: “Tutti i doveri dell’Uomo e del Cittadino derivano da questi due principj scolpiti nella natura di tutti i cuori. – Non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi – Fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere[3].

Contrariamente a quello che ci hanno fatto studiare a scuola i moti rivoluzionari non portarono ad una rottura con la migliore tradizione, anzi.

I Cittadini avevano già chiari gli effetti distorti della globalizzazione anche se non possedevano internet (almeno per quel che ne sappiamo noi). “Ognuno può obbligare il suo tempo e i suoi servizj, ma non può vendersi, né essere venduto; la sua persona non è una proprietà alienabile[4].

La politica era un affare di pochi, anche a quell’epoca, ma ciò si stigmatizzava senza se e senza ma, appunto nei principi fondamentali dell’ordinamento: “Le funzioni pubbliche non possono divenire proprietà di quelli che le esercitano[5].

Si pensava poi anche alle ingiustizie perpetrate dal potere senza che qualcuno rimanesse nell’ombra: “Quelli che procurano, spediscono, sottoscrivono, eseguiscono, o fanno eseguire atti arbitrarj, sono colpevoli e devono essere puniti”[6].

Ma le preoccupazioni del tempo riguardavano in primo luogo la Giustizia, perché una Giustizia alla portata di tutti faceva comodo ai Cittadini ed al Potere.

Noi spesso dimentichiamo uno di questi aspetti: pensiamo che la Giustizia debba essere deflattiva e dunque pensiamo solo all’amministrazione della stessa e solo indirettamente ai cittadini.

Il 17 luglio 1797[7] Napoleone approva lo stabilimento nella Repubblica Cisalpina[8] dell’ufficio provvisorio di conciliazione.

Si può davvero affermare che il generale non perda tempo dato che la Repubblica nasce il 29 giugno 1797.

L’ufficio è provvisorio perché,   era necessario prima informare il pubblico circa il nuovo istituto del giudice di pace[9] che in quelle terre ignoravano[10].

Per diffondere la cultura della mediazione[11] dunque in Milano conciliano inizialmente e  provvisoriamente a turno i consiglieri di Tribunale e in Pretura gli assessori, ma si stabilisce l’importante principio per cui il giudicante della causa non possa coincidere con il pacificatore, nel caso in cui il tentativo risulti infruttuoso[12].

Una volta istituito il giudice di pace però le parti avevano l’alternativa tra l’arbitrato ed il tentativo obbligatorio di conciliazione davanti appunto al giudice di pace.

Le riforme di cui parlano in queste ore Avvocatura e Ministro della giustizia le avevano già messe in cantiere più di 200 anni fa. Ma se si vuole proprio percorrere questa strada consiglierei spassionatamente lo studio della legislazione della California. Qui arbitrato e mediazione sono alternativi (o meglio il giudice può disporre la mediazione al posto dell’arbitrato se le parti lo richiedono), ma il sistema è completamente diverso dal nostro; le Corti d’Appello sono entità manageriali ed è solo per questo che possono offrire diversi tipi di ADR.

Nel sistema costituzionale che nacque in Francia dal 1789 in poi l’arbitrato e la conciliazione erano poi sullo stesso piano[13] e dunque era assolutamente naturale che “nei domini italiani” si pensasse all’alternatività; ma purtroppo in Europa dal 1848 gli ADR sono spariti dalle Corte costituzionali[14]: non si può non tenerne conto, l’edificio sarebbe comunque fragile senza un puntello costituzionale.

Detto ciò nel 1797 nessuna domanda poteva presentarsi al giudice ordinario senza che non si fosse allegato il certificato attestante l’infruttuosità del tentativo: e dunque la condizione di procedibilità era perfettamente operativa.

E lo rimarrà nel Lombardo-Veneto anche sotto gli Austriaci sino al 1866, ancor più che  in Francia ove arriva la volontarietà dopo la metà del secolo XIX.

La presentazione delle parti doveva poi essere effettiva ed il motivo era chiaro:

Il voto del legislatore è che le parti compariscano personalmente per quanto è possibile; perché taluno si determina più facilmente a sacrificare le ragioni proprie e personali, che quelle del rispettivo mandante[15].

Non si poteva ancora essere rappresentati in conciliazione da avvocato: “Nessuno di quelli che esercitano la professione legale potrà rappresentare le parti avanti l’Ufficio di Conciliazione, ossia di Pace. Saranno ammessi a rappresentare gli altri Cittadini semprecchè compajano con l’opportuna abilitazione a transigere“.

E la ragione ce la spiegherà il Gabinetto Vieusseux trent’anni dopo, nel 1824.

BULLETTINO ECONOMICO E SOCIALE

N° IX 1824

Scienze morali ed economiche

MIGLIORAMENTI LEGISLATIVI – CONCILIAZIONE. Gli sforzi dell’ufizio di conciliazione, che abbiamo veduto per qualche anno stabilito tra noi come una semplice formalità, pare che riescano molto vantaggiosi nella Danimarca, nella Norvegia e nelle colonie danesi. Di trentanovemila in quarantamila cause che si sono presentate avanti i conciliatori nel 1820, solamente 2905 sono state giudicate dai tribunali.

Si può ragionevolmente pensare che la proibizione ai litiganti di farsi rappresentare fuori del caso di necessità, l’esclusione degli avvocati dal rappresentare gli impediti, e la scelta di persone che non abbiano l’apatia di certe classi, abbiano molto influito a produrre quel felice effetto[16].

I Francesi poi avevano pensato efficacemente anche alle “mancate comparizioni”, forse perché  avevano compreso che gli Italiani sono particolarmente refrattari agli obblighi.

Se la parte convenuta in mediazione non si presentava veniva condannata con la sentenza del successivo processo a pagare 30 lire milanesi ed era irrilevante che fosse stato interposto appello e che l’appello poi si fosse chiuso a suo favore.

Solo oggi, nel 2014, le Corti d’Appello inglesi e qualche giudice italiano si stanno avvicinando a questa disciplina e ciò ci fa capire quanto fossero “avanti” nel XVIII secolo.

Anche l’attore veniva condannato al pagamento di 30 lire milanesi se la sua domanda venisse dichiarata inammissibile e non avesse citato in conciliazione il convenuto[17].

Interessante era pure che se il debitore non avesse adempiuto nel termine a quanto concordato in conciliazione, non c’era bisogno di effettuare un altro tentativo prima dell’esecuzione.

Questa disciplina durò solo pochi mesi. L’ufficio di conciliazione vero e proprio fu poi istituito nel nostro territorio nel settembre del 1797[18]: il conciliatore conosceva gratuitamente[19] e obbligatoriamente, ma non in sede contenziosa[20], tutte le cause sopra le 8000 lire di Milano; il verbale aveva la forma di giudicato di ultima istanza.

Se nel giorno della comparizione non seguiva l’accordo, e se una parte o ambedue non comparivano, veniva rilasciato a chi lo richiedeva certificato di comparsa, ma né in esso,  né in altro atto veniva fatta menzione delle proposizioni delle parti davanti all’ufficio di conciliazione, né della loro approvazione o disapprovazione, offerte, promesse, parole o discussioni qualunque esse fossero[21].

Tale regolamentazione del principio di riservatezza non ha proprio alcunché da invidiare a quelle più recenti.

Appare di grande modernità ed attualità anche l’articolo quarto della legge 21 pratile anno VI repubblicano (9 giugno 1798) per cui “Le vertenze eccedenti le competenze del Giudice di pace portate ai medesimi per conciliazione possono nei medesimi compromettersi. Essi sono obbligati a ricevere i compromessi, e definirli senza percezione degli onorarj[22].

E dunque l’idea francese era anche quella di un arbitrato successivo al radicamento del giudizio: cosa che verrà poi coltivata anche dal conciliatore del 1865 che potrà arbitrare in proprio oppure delegare l’arbitrato ad avvocati e periti; anche qui dunque nulla di nuovo sotto il sole, ma l’intelligenza stava nel fatto che si utilizzava ciò che già c’era e non si facevano voli pindarici solo sulla carta (oltre tutto oggi non ci sono nemmeno le strutture atte a ricevere gli ipotetici avvocati conciliatori gratuiti).

La predetta legge ribadiva infine anche importanti principi in materia di assistenza e rappresentanza: “Negli affari, che si trattano per conciliazione, i clienti non possono essere assistiti da persone esercenti l’arte del Foro” (articolo sesto); “Nelle vertenze giudiziali i clienti possono farsi rappresentare, ed essere assistiti da qualunque persona benevisa” (articolo settimo)[23].

E dunque si riprende il principio già proprio dell’Ufficio di conciliazione provvisorio.

Le cose cambieranno proprio grazie a Napoleone nel 1805 quando i legali verranno coinvolti, almeno in Liguria (in Lombardia si attese il 1848), nella conciliazione, ma la cosa dipese soltanto da giochi politici perché in Liguria il Potere non aveva a che fare con i contadini, ma con i ricchi mercanti e nobili e dunque i legali potevano essere le porte “più qualificate” per integrare il sistema giudiziario di controllo del territorio.

[1] Art. VII (Doveri) della Costituzione della Repubblica Cisalpina (1797)

[2] Art. 11 della Costituzione della Repubblica Cisalpina (1797)

[3] Art. II (Doveri) della Costituzione della Repubblica Cisalpina (1797)

[4] Art. XXI (Diritti) della Costituzione della Repubblica Cisalpina (1797)

[5] Art. XXI (Diritti) della Costituzione della Repubblica Cisalpina (1797)

[6] Art. IX (Diritti) della Costituzione della Repubblica Cisalpina (1797)

[7] Primo Termidoro anno V

[8] Fucina della nostra Italia unita

[9] Solo da noi nel 2010 si è iniziato a mediare… dal nulla.

[10] E possiamo dire che continueranno ad ignorare anche sotto il dominio austriaco nel quale concilierà il pretore.

[11] Così si chiamava: la mediation non l’hanno inventata in America!, ma nemmeno i Francesi sono originali perché gli Albanesi la chiamavano così prima di Cristo.

[12] Principio che in oggi è osservato ad esempio nei Tribunals statunitensi ove esistono in cosiddetti giudici-magistrato.

[13] Addirittura si pensava di abolire i Tribunali.

[14] Solo in Francia rimase costituzionalizzato l’arbitrato ed è forse per questo che i Francesi sono in materia ai primi posti nel mondo.

[15] MANUALE DEI GIUDICI DI PACE OSSIA TRATTATO DELLE DIVERSE FUNZIONI CIVILI E CRIMINALI ADDETTE AL LORO MINISTERO … opera del sig. Levasseur tradotta dal francese sopra l’ultima edizione dell’anno 1807, p. 118.

[16] GABINETTO VIEUSSEUX, Antologia, Aprile, Maggio, Giugno 1824, Tipografia Di Luigi Pezzati, Firenze, 1824, p. 141.

[17] Provvedimento quest’ultimo che renderebbe vane molte manovre.

[18]Raccolta degli ordini ed avvisi stati pubblicati dopo il cessato governo austriaco, R. Veladini, 1798, p. 301 e ss.

[19] Articolo IV c. 2 Legge 2 fruttidoro anno VI (l. 19 agosto 1798) . Si pagava solo la scritturazione (4 lire pagina).

[20] La sede contenziosa era riservata agli affari tra le 200 e le 8000 mila lire qualora non riuscisse il tentativo.

[21] Art. 25 atto legislativo 15 corrente Fruttidoro.

[22] Leggi della Repubblica Cisalpina dal giorno dell’istallamento del corpo legislativo, Volume IV, Anno primo della Repubblica (1798), Della Stamperia Italiana, e Francese, a S. Zeno n. 534, p. 111.

[23] Leggi della Repubblica Cisalpina dal giorno dell’istallamento del corpo legislativo, op. cit., p. 111.