Un giusto principio di incompatibilità per il mediatore?


Questa nota si riferisce alla bozza di decreto  in materia di mediazione civile e commerciale  circolata nei giorni scorsi e che ha subito il vaglio del Consiglio di Stato.

Tale bozza non è stata confezionata dall’attuale governo che potrebbe quindi modificarla (con un ulteriore passaggio al Consiglio di Stato), ovvero si potrebbero seguire le indicazioni del supremo organo di giustizia amministrativa. Se però il testo dovesse così permanere mi sentirei di fare le seguenti riflessioni.

Il mediatore che vive le nozioni esclusivamente in funzione di un approccio pratico, davanti ad un dettato di legge e magari col solo ausilio di qualche slide, si trova a poter dare soltanto un giudizio di valore “è giusto o non è giusto”, “mi sta bene o non mi sta bene”, per quanto tale giudizio possa essere brillantemente argomentato.

Ma alla fine la legge è legge e a prescindere dal giudizio “a pelle” che ci siamo formati, si dovrà osservare con più o meno magone.

A “pelle” ritengo ad esempio che il 14 bis, se permarrà nel testo che segue, farà sparire molti organismi e la cosa naturalmente non mi fa piacere.

La norma prima dell’invio al Consiglio di Stato aveva il seguente tenore:
1. Il mediatore non può essere parte ovvero rappresentare o in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi all’organismo presso cui è iscritto o relativamente al quale è socio o riveste una carica a qualsiasi titolo; il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali.
2. Non può assumere la funzione di mediatore colui il quale ha in corso ovvero ha avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti, o quando una delle parti è assistita o è stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che ha esercitato le professione negli stessi locali; in ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione di incarico la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 815, primo comma, numeri da 2 a 6, del codice di procedura civile.
3. Chi ha svolto l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non sono decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento. Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitano negli stessi locali.

Ma il Consiglio di Stato non ha ritenuto di incidere più di tanto e dunque non è che poi la fisionomia sarebbe stravolta se si decidesse di accogliere il suo parere sul punto (Relativamente all’introdotto articolo 14-bis, si ritiene che la prescrizione con la quale il divieto contemplato dall’articolo medesimo si estende anche ai “professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali” (comma 1) e ai “professionisti soci, associati ovvero che esercitano negli stessi locali” (comma 3) non risulti appropriata nella odierna sede normativa (di attuazione dell’art. 16 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28), trattandosi di questione che può presentare interconnessioni con l’ordinamento forense, come tale necessitante – semmai – di apposita previsione in altra iniziativa normativa. Ne consegue l’espunzione dal 1° e 3° comma dei citati riferimenti).

Non mi immagino inoltre come un assistito possa prendere il “Se vuoi andare nell’organismo in cui io ho fiducia non ti posso assistere, né rappresentare perché io sono iscritto lì come mediatore…. Se invece vuoi la mia assistenza devi rivolgerti ad un altro organismo. Però, a pensarci bene, siccome la competenza è territoriale ed io sono iscritto come mediatore nei 5 organismi del territorio… credo proprio che dovrai andare da un altro collega…”
Secondo me il cliente non capirebbe…

E comunque così come l’avvocato non si sceglie dalla targa sulla porta, non si sceglie l’organismo che non si conosce solo perché davanti a quello si può patrocinare… sarebbe iniquo doverlo fare per portare a casa la pagnotta!

Forse le norme andrebbero coordinate meglio, perché la coperta mi pare troppo corta sia dalla parte dei mediatori, sia da quella degli organismi che vivono spesso delle pratiche di quei legali/professionisti che li hanno costituiti.
Ma da pratico più di questo non posso dire: la legge non si può che rispettare e le mie sono solo opinioni.

Il mediatore più curioso va invece a vedere come il principio è stato trattato a livello storico.

La storia non è una mia opinione.  Magari mi può far accettare più di buon grado un principio che “a pelle” non condivido oppure può servire a comunicare al legislatore che sta magari applicando un principio giusto ad un contesto sbagliato.

Ma se ci si mette nell’ottica storica bisogna tornare indietro di qualche secolo.

Sul finire dell’Ottocento gli avvocati ed i procuratori erano figure avversate dal legislatore: ai senatori i legali sembravano incompatibili con la figura del conciliatore, “sia per le loro abitudini naturalmente avverse alla conciliazione, sia per quel certo sospetto che nasce dal trovarsi quei professionisti eventualmente conciliatori o giudici davanti ai loro clienti dell’oggi e del domani”.
Per rimediare alle obiezioni circa “l’apertura” alle professioni forensi per il ruolo di conciliatore, si stabilì che gli stessi esercenti la professione legale e rivestiti della qualità del conciliatore o vice–conciliatore, non potessero prestare assistenza alle parti o rappresentarli davanti all’ufficio di conciliazione del quale fossero titolari.

Di conseguenza l’antico divieto per il conciliatore di servire come avvocato davanti al proprio ufficio, sembra essere stato previsto anche per il mediatore in base al nuovo 14 bis.
Peraltro il divieto dal 14 bis viene esteso a tutte le categorie professionali.

Il regime delle incompatibilità tra giudice ed avvocato ha comunque una lunga storia. Già la prevedeva la legislazione savoiarda di Vittorio Amedeo del 1729 che peraltro in materia riprendeva quella del 1430 (Statuta Sabaudiae) di Amedeo VIII. Specificava appunto l’art. 6 libro II Titolo I Leggi e Costituzioni di Sua Maestà del 1729:”Non sarà lecito a qualunque dei nostri Ministri, ed Uffiziali de’ Nostri Magistrati d’avvocare, e patrocinare in qualunque Causa, che s’agiti de’ Nostri Tribunali, quantunque avanti d’essere ammessi al Nostro Servizio avessero per alcuno delle Parti esercitato il loro patrocinio, sotto pena della perdita dello stipendio per un anno”.

Il principio è transitato per un certo tempo anche nell’attuale ordinamento con riferimento al giudice di pace e con la riforma societaria (il d.m. attuativo) si è posto il divieto di svolgere la funzione di conciliatore societario appunto per il giudice di pace.

Se però ponderiamo bene i dati storici, ci rendiamo conto che il divieto è nato in ambito giudiziario, di fronte ad uffici che non erano tra l’altro di elezione facoltativa. Il sistema si basa invece oggi sulla fiducia: all’epoca anche se il giudice di pace fosse stato un inetto o se mi fosse stato antipatico dovevo comunque andare davanti a lui. Se non lo avessi fatto, vigeva la regola che il conciliatore poteva rifiutare la conciliazione, perché si riteneva a torto o ragione, non importa, che il giudice dovesse conoscere bene le parti che andavano davanti a lui (un principio esattamente contrario rispetto a quello che vige per i mediatori).

Il conciliatore non poteva avere più incarichi in diversi luoghi, ma esercitava solo nel paese di residenza. I mediatori possono mediare in 5 organismi.

Il conciliatore era poi un giudice, il mediatore non lo è nemmeno quando fa la proposta visto che può non essere accettata.
E dunque il pericolo che una parte un domani possa trovare per altra controversia come mediatore il difensore (o consulente) dell’altra  non comporterebbe poi così gravi danni nemmeno se il mediatore non ritenesse di astenersi (cosa che nei fatti accadrebbe) ed il collega rappresentante dall’altra parte non muovesse obiezioni e non ricorresse alla ricusazione.

Nell’Ottocento la rappresentanza non era inoltre ben vista, gli avvocati non entravano in conciliazione come rappresentanti e dunque non contavano nemmeno su quella attività dal punto di vista economico.

Il decreto 28/10 prevede oggi principi che sono assolutamente contrari visto che l’assistenza è obbligatoria e dunque il legali non possono che ripromettersi un vantaggio dalla mediazione.

Addirittura se l’avvocato fosse mediatore per assurdo di tutti gli organismi su piazza, dovrebbe rinunciare ad assistere il suo cliente, la qualcosa mi pare eccessiva e forse potrebbe suscitare qualche dubbio in chiave costituzionale data la condizione di procedibilità.

Prima del decreto del fare ho espresso ai quattro venti il mio favore per un principio simile a quello del primo comma dell’art. 14 bis (che ovviamente era ancora nell’iperuranio).

Ma alla luce del nuovo e diverso contesto, mi pare che potrebbe essere oggetto di una maggiore e più matura riflessione.

In sostanza, da come la vedo io, si potrebbe rischiare di applicare al contesto sbagliato un principio giusto.

Anche se naturalmente il contesto può essere sempre mutato.

3 pensieri riguardo “Un giusto principio di incompatibilità per il mediatore?

  1. AS.AR.GI. Organismo di mediazione.
    Spett.le Avv. Calcagno, avevamo già letto qualcosa in merito, ma ritenevamo l’ipotesi totalmente assurda.
    Rileggendo ora la sua relazione, dobbiamo pensare che a volte le Leggi vengon fatte di impulso senza pensare a tutte le conseguenze.

    Per esempio noi, in crescita a livello nazionale con sedi locali in apertura in diverse province tramite Studi legali convenzionati (ne abbiamo oltre 60), abbiamo mediatori quasi tutti Avvocati, per cui dovremmo trovare ed iscrivere altri mediatori non Avvocati, e vederci drasticamente ridotto il lavoro, dato che gli Utnti li portano gli Avvocati, non la pubblicità, comunque non utilizzabile dati i costi connessi ed il ridottissimo margine di utile al limite del solo pareggio.

    Esemplare il caso molto diffuso di Avvocati operanti in una piccola città di provincia, per cui se si iscrive ai 2-3 Organismi locali (Ordine Avvocati ed altri 1-2 privati vari), a volte un unico Organismo locale, non potranno più assistere i propri Clienti in mediazione ?? dovrebbero regalare il Cliente ad un altro Collega ??

    Unica alternativa per molti Avvocati Mediatori, sarebbe quindi di cancellarsi dalle iscrizioni, pur essendo “Mediatori di Diritto” !!!

    Speriamo che qualcuni si accorga della assurdità di detta norma.

    Saremmo invece ben favorevoli, nella logica dello scopo di contrastare le incompatibilità, che i Mediatori non siano Soci, Associati o simili, degli Organismi di mediazione, od anche parenti stretti, collaboratori, operanti nello stesso studio, ecc., dei Responsabili, Soci ed Associati dell’Organismo.

    Distinti saluti
    Direzione AS.AR.GI.
    Dott. Efisio Pala

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