Sull’incompatibilità assoluta del mediatore civile e commerciale e del mediatore familiare ad esercitare la mediazione penale

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Leggo dal Sole24ore di oggi che sarebbe pronto il d.m. sulla giustizia riparativa e che – cito testualmente – “Tra i requisiti che deve comunque possedere chi chiede l’inserimento nell’elenco c’è l’assenza di iscrizione nell’albo dei mediatori civili, commerciali o familiari (su questo l’incompatibilità è assoluta)…”.

Non capisco quale sia la fonte di tale prescrizione.

La legge delega (LEGGE 27 settembre 2021 , n. 134) si limita a prevedere al punto 18 lett. f: “disciplinare la formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa, tenendo conto delle esigenze delle vittime del reato e degli autori del reato e delle capacità di gestione degli effetti del conflitto e del reato nonché del possesso di conoscenze basilari sul sistema penale; prevedere i requisiti e i criteri per l’esercizio dell’attività professionale di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa e le modalità di accreditamento dei mediatori presso il Ministero della giustizia, garantendo le caratteristiche di imparzialità, indipendenza ed equiprossimità del ruolo;”

La legge delega, dunque, non pone alcuna incompatibilità, ma si limita a dare al legislatore la seguente indicazione “prevedere i requisiti e i criteri per l’esercizio dell’attività professionale di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa”.

Il legislatore delegato (DECRETO LEGISLATIVO 10 ottobre 2022, n. 150) all’art. 59 non pone alcuna forma di incompatibilità ma si limita a prevedere: “Formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa

1. La formazione dei mediatori esperti assicura l’acquisizione delle conoscenze, competenze, abilità e dei principi deontologici necessari a svolgere, con imparzialità, indipendenza, sensibilità ed equiprossimità, i programmi di giustizia riparativa.

2. I mediatori esperti ricevono una formazione iniziale e continua.

3. La formazione iniziale consiste in almeno duecentoquaranta ore, di cui un terzo dedicato alla formazione teorica e due terzi a quella pratica, seguite da almeno cento ore di tirocinio presso uno dei Centri per la giustizia riparativa di cui all’articolo 63.

4. La formazione continua consiste in non meno di trenta ore annuali, dedicate all’aggiornamento teorico e pratico, nonché’ allo scambio di prassi nazionali, europee e internazionali.

5. La formazione teorica fornisce conoscenze su principi, teorie e metodi della giustizia riparativa, nonché nozioni basilari di diritto penale, diritto processuale penale, diritto penitenziario, diritto minorile, criminologia, vittimologia e ulteriori materie correlate.

6. La formazione pratica mira a sviluppare capacità di ascolto e di relazione e a fornire competenze e abilità necessarie alla gestione degli effetti negativi dei conflitti, con specifica attenzione alle vittime, ai minorenni e alle altre persone vulnerabili.

7. La formazione pratica e quella teorica sono assicurate dai Centri per la giustizia riparativa e dalle Università che operano in collaborazione, secondo le rispettive competenze. Ai Centri per la giustizia riparativa è affidata in particolare la formazione pratica, che viene impartita attraverso mediatori esperti iscritti nell’elenco di cui all’articolo 60 i quali abbiano un’esperienza almeno quinquennale nei servizi per la giustizia riparativa e siano in possesso di comprovate competenze come formatori.

8. L’accesso ai corsi è subordinato al possesso di un titolo di studio non inferiore alla laurea e al superamento di una prova di ammissione culturale e attitudinale.

9. I partecipanti al corso di formazione acquisiscono la qualifica di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa in seguito al superamento della prova finale teorico-pratica.

10. Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono disciplinati le forme e i tempi della formazione pratica e teorica di cui al comma 7, nonché’ le modalità delle prove di cui ai commi 8 e 9. Gli oneri per la partecipazione alle attività di formazione ed alla prova finale teorico-pratica sono posti a carico dei partecipanti.”

Non si comprende perché vengano escluse come incompatibili proprio figure – il mediatore civile e commerciale e quello familiare – che hanno proprio nel DNA l’imparzialità, l’indipendenza, la sensibilità e la equiprossimità.

L’art. 60 c. 2 del decreto legislativo citato prevede che:

“2. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è istituito presso il Ministero della giustizia l’elenco dei mediatori esperti. L’elenco contiene i nominativi dei mediatori esperti, con l’indicazione della eventuale qualifica di formatori. Il decreto stabilisce anche i criteri per la valutazione delle esperienze e delle competenze dei mediatori esperti, al fine dell’ammissione allo svolgimento dell’attività di formazione, nonché i criteri per l’iscrizione e la cancellazione, anche per motivi sopravvenuti, dall’elenco, le modalità di revisione dell’elenco, nonché la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui all’articolo 59 costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività di mediatore esperto. Lo stesso decreto disciplina le incompatibilità con l’esercizio dell’attività di mediatore esperto, nonché i requisiti di onorabilità e l’eventuale contributo per l’iscrizione nell’elenco.

Soltanto in quest’ultima norma, dunque, si fa riferimento alla disciplina della incompatibilità. Ma non vi sono indicazioni al proposito. Non si comprende a dire il vero nemmeno perché il decreto legislativo voglia stabilire delle incompatibilità e questo alla luce delle fonti dell’istituto. Ma andiamo con ordine.

È con la Commissione di studio istituita nel 2021 e presieduta da Giorgio Lattanzi che, per la prima volta, la materia della giustizia riparativa si affaccia, in modo organico, nel nostro ordinamento giuridico (24/5/21): tra le proposte di emendamento al Disegno di legge A.C. 2435, la Commissione aveva infatti previsto un nuovo art. 9-quinquies (Giustizia riparativa), ritenendo, in accoglimento delle sollecitazioni dell’allora Ministro della giustizia Cartabia e della dottrina che la legge delega potesse estendersi anche a interventi normativi nuovi, quali, per l’appunto, quelli in tema di giustizia riparativa

La legge delega n. 134 del 2021 ha recepito e ripreso il testo elaborato dalla Commissione di studio, statuendo, all’art. 1, comma 18, che il Governo, nell’adottare gli schemi di decreti legislativi, introducesse una disciplina organica della giustizia riparativa. La delega in materia è stata esercitata con il decreto legislativo n. 150 del 2022 in duplice direzione: per un verso, prevedendo una disciplina organica della giustizia riparativa; per altro verso, intervenendo sulla legislazione penale vigente con interpolazioni in vari articoli, soprattutto nell’ambito del codice di rito.

Mentre per l’art. 27 della Costituzione si chiede alla pena di rieducare il reo per la giustizia riparativa si chiede di scommettere, a differenza del diritto penale classico, sulle persone e sulle loro capacità positive, al punto da diventare una giustizia non solo educativa ma anche formativa.

L’ art. 43 c. 2 d.lgs 150/22 prevede, infatti, che “I programmi di giustizia riparativa tendono a promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità.”

Per quale arcano motivo l’esercizio della mediazione civile e commerciale e familiare sarebbe incompatibile con dette finalità?

Ma andiamo a vedere le fonti della mediazione penale:

La Raccomandazione n. R (99)19 Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottata il 15/09/1999 – Raccomandazione relativa alla Mediazione in materia penale, che sarà poi sviluppata dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa CM/Rec (2018)8 adottata dal Comitato dei Ministri il 3 ottobre 2018, ai cui principi ed alle cui disposizioni si è attenuto il Governo nell’esercizio delle delega.

In queste Raccomandazioni il mediatore penale è detto “facilitatore”, ma non compare incompatibilità di alcun genere.

Si dice che i facilitatori dovrebbero ricevere una formazione iniziale prima di esercitare la giustizia riparativa, come anche una formazione continua.

Vi è poi da considerare la Decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001: ciascuno Stato si impegna a definire servizi specializzati che rispondano ai bisogni della vittima in ogni fase del procedimento, adoperandosi affinché non abbia a subire pregiudizi ulteriori e inutili pressioni e affinché sia assicurata l’adeguata formazione professionale degli operatori, mediante la previsione di scadenze temporali vincolanti per le necessarie disposizioni attuative, di ordine legislativo, regolamentare e amministrativo.

In essa si parla solo di “persona competente”: art. 1 lett. e) “«mediazione nelle cause penali»: la ricerca, prima o durante il procedimento penale, di una soluzione negoziata tra la vittima e l’autore del reato, con la mediazione di una persona competente”.

Un’altra fonte importante è da riconoscere nei documenti dell’ONU; lo United Nations, “Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters”, ECOSOC Res. 12/2002 n. 15/2002: ribadisce che vittima e autore del reato devono essere trattati in modo paritario.

Anche qui si parla di facilitatore: “5. “Facilitator” means a fair and impartial third party whose role is to facilitate the participation of victims and offenders in an encounter programme.”

“17. Facilitators should be recruited from all sections of society and should generally possess good understanding of local cultures and communities. They should be able to demonstrate sound judgement and interpersonal skills necessary to conducting restorative processes.

18. Facilitators should perform their duties in an impartial manner, based on the facts of the case and on the needs and wishes of the parties. They should always respect the dignity of the parties and ensure that the parties act with respect towards each other.

19. Facilitators should be responsible for providing a safe and appropriate environment for the restorative process. They should be sensitive to any vulnerability of the parties.

20. Facilitators should receive initial training before taking up facilitation duties and should also receive in-service training. The training should aim at providing skills in conflict resolution, taking into account the particular needs of victims and offenders, at providing basic knowledge of the criminal justice system and at providing a thorough knowledge of the operation of the restorative programme in which they will do their work.”

Nessuna incompatibilità è dunque prevista.

È poi il turno della Direttiva 2012/29/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. Doveva essere recepita dagli stati entro il 16 novembre 2015.

Essa definisce la mediazione penale come  «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale» (art. 2, co. 1, lett. d).

Si parla di operatori della giustizia riparativa, ma non ci sono norme che li riguardino direttamente, né tanto meno incompatibilità, a parte L’art. 25 comma 4  prevedente che gli Stati membri, « attraverso i loro servizi pubblici o finanziando organizzazioni che sostengono le vittime, incoraggiano iniziative che consentano a coloro che forniscono servizi di assistenza alle vittime e di giustizia riparativa di ricevere un’adeguata formazione, di livello appropriato al tipo di contatto che intrattengono con le vittime, e rispettino le norme professionali per garantire che i loro servizi siano forniti in modo imparziale, rispettoso e professionale».

E dunque si chiede soltanto che i servizi siano forniti in modo imparziale, rispettoso e professionale, come tutti mediatori di qualunque natura hanno imparato a fornire.

Veniamo infine alla Dichiarazione di Venezia del COE sul Ruolo della Giustizia riparativa in materia penale 13 e 14 dicembre 2021.

Si parla solo di un soggetto terzo formato e imparziale (solitamente chiamato mediatore o facilitatore);

Al punto IV si precisa poi che bisogna “considerare la giustizia riparativa come parte essenziale dei programmi di formazione dei professionisti del diritto, compresi magistrati, avvocati, pubblici ministeri, assistenti sociali, polizia, nonché del personale carcerario e di probation, e riflettere su come includere i principi, i metodi, le pratiche e le garanzie della giustizia riparativa nei programmi universitari e in altri programmi di istruzione post-universitaria per i giuristi, prestando attenzione alla partecipazione della società civile e delle autorità locali e regionali nei processi di giustizia riparativa e rivolgendosi al Consiglio d’Europa quando sono necessari programmi di cooperazione e formazione dei funzionari che attuano la giustizia riparativa;”

Questa è l’unica norma che valga la pena di essere richiamata sul punto e che va nella direzione dell’inclusione.

Non posso che chiedere dunque al Ministero da dove ha ricavato le incompatibilità predette, sempre che ovviamente il tessuto normativo confermi le indiscrezioni giornalistiche.