“l’amico che bussa alla porta deve essere ricevuto con tutto l’onore che gli
appartiene, e non interessa se sia un mendicante o un santo“
Pepa E
Ho incontrato sulla mia strada il Canone grazie ad un filosofo tedesco di nome Christian Wolff.
Christian Wolff fu il più importante filosofo tedesco prima di Kant.
Le sue parole ispirarono la dichiarazione di indipendenza americana.
Fondamentale è stato il suo apporto per lo studio scolastico della matematica: ancora oggi usiamo la sua metodica.
Fu inoltre il primo in Occidente ad usare il termine psicologia in due sue opere[1].
Nel 1765 uscì un trattato postumo in cui esprimeva tutti i principi che reggono la mediazione moderna[2]. Il filosofo scrisse in latino quel che aveva imparato sul Canone di cui era innamorato.
Non so dire di quale versione perché in realtà nella storia ne abbiamo avute almeno sette, ma diverse regole wolffiane si ispirano di certo al Canone più famoso, ossia al Kanun di Lekë Dukagjinit.
C’è chi sostiene che Lekë Dukagjinit mise per iscritto appunto il Canone, ma per altri questa è solo una leggenda e vi sarebbe stata solo una tradizione orale dei precetti fino al 1913, data della compilazione.
Ma il fatto che Wolff ne riprenda le norme, potrebbe far pensare che ci siano ancora in giro per l’Europa copie antiche di questo sacro testo: lo chiamo sacro perché per gli Albanesi è stato quasi una religione laica; potremmo dire un po’ come la Bibbia per i Cristiani o le opere omeriche (con cui ci sono peraltro similitudini) per i Greci.
La prima frase che mi ha molto colpito del canone è stata “N’dora tande” che in italiano significa “Nelle tue mani”.
Questa è la frase con cui si chiede la Besa, la tregua accordata a chi deve sangue (una vita umana per una vita umana).
È una frase dalle potenzialità enormi proprio nel settore di cui mi occupo, ovvero quello della mediazione dei conflitti.
Da che cosa deriva?
Mentre nei nostri tribunali “tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge”, nella cultura albanese da millenni “Tutti gli uomini sono uguali”.
Il che ha un significato molto più profondo, significa che tutti gli uomini sono degni di fiducia, che non c’è una gerarchia di valore tra uomo e uomo, che l’onore, la Burrnija, è attribuita in ugual misura ad ogni uomo in quanto tale e non è incrementabile, e soprattutto non c’è un giudice che possa giudicare un altro uomo senza il suo benestare.
In Albania I tribunali dell’Occidente ed il processo non sono esistiti sino al 1928 (quando il Kanun è stato formalmente abrogato).
In precedenza, sono stati usati esclusivamente la mediazione e l’arbitrato dei saggi, strumenti che si fondano sul consenso delle parti.
Stabilisce il Canone (Kanun di Lekë Dukagjinit) al proposito:
§.886. Nel canone delle montagne dell’Albania, tutti i ragazzi nati sono considerati buoni e non vengono distinti l’uno dall’altro[3].
§.887. Il valore della vita di una persona è uno, sia per il buono che per il cattivo[4].
§.888. Ognuno si considera buono e dice a se stesso: “Sono un uomo” e gli altri dicono: “Sei un uomo!”[5]
Secondo il Canone un uomo si fida di un altro uomo, mentre non si fida di uno Stato che vorrebbe giudicarlo senza il suo consenso: e ciò perché nella storia ci sono stati vari popoli che hanno provato a dominare gli Albanesi, chiusi dapprima tra Impero Romano d’Occidente e Impero Romano d’Oriente, poi in continua lotta con l’impero ottomano, in seguito preda di una feroce ideologia comunista e di un ateismo di stato.
Lo Stato ancora oggi, in molte parti del mondo, diffida dalla mediazione perché non ammette che il suo cittadino possa fare delle scelte autonomamente.
Solo gli uomini che si danno la parola (la Besa) possono trattare e trovare un’intesa che li soddisfi.
Scanderberg, l’eroe nazionale albanese, pensava che la “Besa generale”, la fine dei conflitti interni al popolo albanese, fosse la cosa migliore e l’unico modo per ottenere la sospirata indipendenza. Ed aveva ragione anche se non riuscì nel suo intento.
Per affrontare i motivi di un conflitto bisogna che il conflitto termini almeno provvisoriamente per condurre una trattativa.
Ed il conflitto termina nel momento in cui ci si mette nelle mani dell’altro e gli si dice “Fai di me quel che vuoi”.
Quanta modernità in questo concetto!
Nel XIX secolo verrà riscoperto come un pilastro per mantenere buone relazioni da Dale Carnegie, padre della comunicazione moderna.
Se sei in difetto chiedi perdono ed il giudice che sta dentro colui che hai offeso ti giudicherà meno severamente di quanto tu stesso ti saresti giudicato.
Bisogna aver fiducia della coscienza del prossimo. Ce lo insegna anche la psicologia moderna.
Nel mio lavoro le persone trovano un’intesa nel momento in cui si “riconoscono”, quando abbandonano l’idea di avere un nemico ed un avversario e si aprono all’ascolto della coscienza degli altri ed iniziano ad averne fiducia.
In albanese c’è una parola che rappresenta bene questo stato d’animo che noi mediatori cerchiamo di alimentare: Faleminderit che significa letteralmente “io lodo il tuo onore” o “io faccio devozione al tuo onore”.
Potremmo aggiungere noi: ”Anche se non credi in ciò che credo io”.
Scanderberg lasciò liberi i Prìncipi di scegliere il perdono (Falja fisnike) o la vendetta (Derdhja e gjakut)[6]. Il Canone rispetta il libero arbitrio.
Ma è un anche un fatto che nel Canone il perdono è elemento fondamentale dal 1444.
L’eguaglianza tra gli uomini e il perdono sono le radici della mediazione moderna.
In una società occidentale dove la vendetta ha sempre tenuto banco sino alla Seconda Guerra mondiale, gli eredi dei Dardani (gli Albanoi) che già usavano la mediazione comunitaria nel IV secolo avanti Cristo, hanno deciso che fosse anche possibile cambiare il paradigma del conflitto.
E anche il cambio di paradigma è stato frutto di un negoziato.
Poco prima della metà del 1400 l’esercito albanese doveva affrontare una delle tante guerre contro l’impero ottomano.
Era guidato da due condottieri: Lek Dukagjin e Giorgio Castriota, detto Scanderbeg.
Entrambe erano principi cattolici e conoscevano bene la cultura occidentale dell’umanesimo (anche se poi Lek Dukagjin venne minacciato di scomunica).
Giorgio Castriota perdonò un suo luogotenente che lo aveva tradito. E chiese all’assemblea degli uomini di inserire la possibilità di perdono nella legislazione consuetudinaria che si era imposta dal 1444.
Era il 3 marzo. Vi fu un forte dibattito: venne concessa la possibilità di perdonare a patto che la vendetta potesse essere estesa dal singolo assassino a tutti i suoi parenti maschi sino alla terza generazione: ossia Lek Dukagjin chiese in cambio di passare dalla vendetta alla faida.
Lek Dukagjin divenne poi il raccoglitore di tutte le consuetudini del popolo albanese che si tramandarono, come abbiamo detto, probabilmente oralmente sino al 1913 (e ci aggiunse ovviamente anche del suo).
Come viene descritto il perdono ce lo dicono due norme:
§.598. “L’onore disonorato non può essere compensato con beni materiali, ma o con il versamento di sangue, o con il perdono nobile (attraverso la mediazione di buoni amici).
“§.991. Il garante del pegno non può chiedere perdono e promesse del Kanun senza risolvere prima la questione.”
Questi articoli determinano la nascita della mediazione moderna.
Il primo ci dice che la vendetta[7] e il perdono stanno sullo stesso piano.
Il secondo che la Besa tra i contendenti ed il mediatore si instaura solo a seguito della consegna del pegno; il pegno non è sempre un oggetto di valore economico: può essere anche una semplice cartuccia; consegnarla significa rispettare la tregua (“io non ti sparerò per un certo termine”).
In altre parole, il perdono può essere concesso se sei veramente intenzionato a risolvere la questione.
Nella legislazione italiana sulla mediazione (Decreto legislativo 28/10 art. 8) oggi si parla di pagamento dell’indennità (appunto il pegno albanese) e di cooperazione in buona fede e lealtà nel setting di mediazione.
Se interpretassimo il concetto secondo il Kanun (e peraltro secondo l’interpretazione anglofona dei termini che a qualcuno si è certamente ispirata) questa formula significherebbe che è necessario avere la sincera intenzione di risolvere il conflitto e di mettere i bisogni dell’altro davanti ai propri anche se ciò non appare conveniente.
C’è un passo che ritengo assai significativo del Canone su come si dimostra la lealtà al di là della propria convenienza.
§.856. La famiglia della vittima, se concede tregua all’assassino, quest’ultimo, anche se ha ucciso, deve partecipare al lutto e al funerale della vittima, accompagnandola fino alla sepoltura e rimanendo per il pranzo. – Questa tregua dura 24 ore.
Essere leale vuol dire quindi avere il coraggio di mettersi nelle mani dell’offeso in modo tale che l’offeso possa prendere in considerazione il nostro pentimento o perlomeno il nostro desiderio di risolvere il conflitto.
E se non abbiamo questo coraggio l’offeso può legittimamente ritirare la tregua che ci ha concesso in un momento così delicato per lui; la tregua, la fiducia spetta solo a chi si comporta onestamente, ossia secondo il Canone.
§.857. Se l’assassino non partecipa al lutto e al pranzo secondo la tregua concessa, non viene considerato un disonore per la famiglia della vittima non concedere tregua, poiché l’assassino ha aggiunto violenza alla violenza.
Chi invece rispetta i precetti anche se è un assassino viene considerato un ospite.
Una volta che la trattativa è iniziata portarla a compimento è una questione di onore.
Chi interrompe il mediatore o viene meno alla parola data viene disonorato dalla comunità[8].
Wolff. Scrive: “§927
Coloro che acconsentono a un mediatore non sono obbligati a utilizzare la sua mediazione, a meno che non vi sia una promessa perfetta da una parte e un’accettazione dall’altra.”
La base di tutto è dunque la “promessa perfetta” ossia la Besa che si può anche tradurre come tregua, ciò su quella fase necessaria che è il tramite tra l’uguaglianza ed il perdono.
Dice il Canone che:
§.854. La tregua è un periodo di libertà e sicurezza che la famiglia della vittima concede all’assassino e alla sua famiglia, non perseguendoli per vendetta temporaneamente e fino a un termine stabilito.
§.855. Mandare persone per chiedere tregua è una consuetudine, concedere tregua è un dovere e un atto di coraggio.
Ecco perché parlavo di coraggio.
Ma chi sono queste persone che vengono inviate dai parenti dell’assassino, dal villaggio o dalla Bandiera? Sono i miei avi, anche se per quanto ne so non ho sangue albanese, ma potrei sbagliarmi.
Nel Consiglio albanese gli anziani erano seduti in cerchio quando dovevano prendere una decisione o suggellare un accordo (come nel mondo omerico).
Il mio ambiente di lavoro è costituito non a caso da un tavolo rotondo dove le parti prendono decisioni condivise e siedono su sedie uguali.
Gli anziani parlavano uno alla volta e quando l’uomo parlava tutti gli altri erano costretti ad ascoltare in silenzio. Durante il dibattito in assemblea erano proibite le parole offensive.
Le regole dell’Assemblea sono state applicate con precisione e sono state trasmesse oralmente (o per iscritto) di generazione in generazione.
Quando io mi presento in mediazione detto tre regole che derivano da questa pratica: “Spegnete i telefonini, parlate uno alla volta, non offendetevi”.
Queste regole devo darle all’inizio perché, se non lo facessi e poi riprendessi i contendenti, ferirei il loro onore.
§.667. Il mediatore, come il messaggero, non è colpevole né è responsabile.
Questa regola sta alla base della mia attività: le parti non possono ritenermi responsabile quando medio perché ogni decisione viene presa da loro. Solo se io faccio una proposta divento responsabile, ma per facilitare semplicemente la comunicazione e la negoziazione non mi possono addossare alcuna responsabilità, a meno che io non sia parziale
§.668. Mediatore è colui che concilia le male parole o scongiura la vendetta, da cui potrebbe derivare un omicidio o un altro danno.
Come esperto di comunicazione nella prima parte del mio lavoro cerco di depurare la versione dei fatti dalla negatività e dunque cerco di eliminare le offese dal contenuto espresso e nello stesso tempo tento di far capire alle parti che ho compreso quanto mi hanno riferito. Questo adempimento si chiama parafrasi; è stata introdotta da Carl Rogers che la chiama riformulazione, ma, a quanto pare, il Canone era già perfettamente consapevole del lavoro del mediatore.
Io non scongiuro la vendetta ma il processo che nello stesso modo potrebbe portare alle parti un danno o addirittura l’annientamento reciproco: l’escalation del conflitto quando le parti vanno davanti al giudice è molto difficile fermarla (come insegna Glasl).
§.669. Il mediatore può essere un uomo o una donna, un ragazzo o una ragazza, o anche un prete.
Questa regola è stata ripresa anche negli Stati Uniti ove il mediatore è semplicemente una persona che è addestrata per mediare. In Svezia e in Germania spesso si può trovare come mediatore un sacerdote. Un sacerdote conciliava nel Lombardo-Veneto in luogo del giudice, sino al 1848 Anche nel nostro attuale ordinamento non c’è preclusione se non relativamente al fatto che bisogna possedere una laurea magistrale o a ciclo unico ovvero una laurea triennale con iscrizione ad un albo o collegio.
Wolff scrive in piena linea con il Canone: “§926
Chiunque può offrirsi come mediatore: dipende dalla volontà delle parti se vogliono accettarlo o meno.”
§.670. Il mediatore può intervenire di casa in casa, di villaggio in villaggio, di bandiera in bandiera.
La prima funzione del mediatore che viene ricordata ad esempio nella storia cinese è quella di cercare i litigi dove si possono trovare. Il mediatore dall’origine dei tempi è itinerante. Ricordo ad es. i Missi dominici e poi i Conservatori della pace nell’Inghilterra medievale, i conciliatori francesi che ancora oggi si muovono da un luogo ad un altro, il conciliatore delle Due Sicilie che andava appunto in cerca dei litigi. Poi nel 1865 si è pensato in Italia che questa attività fosse pericolosa e da allora abbiamo una sede fissa dove vengono le persone: in particolare io medio soprattutto in Tribunale. Con l’avvento della tecnologia, tuttavia, il Canone torna ad essere pienamente sul pezzo dato che il mediatore può potenzialmente mediare con persone dislocate in ogni parte del mondo.
§.677. Se ci sono cento morti da una parte e nessuno dall’altra, se il mediatore interviene, il fucile si fermerà, il fuoco si spegnerà (finché il mediatore non avrà adempiuto al suo ufficio).
Questa regola di rispetto della Besa accettata è presente in diversi ordinamenti ed è stata ripresa anche dalle norme dell’UNCITRAL (l’organismo che si occupa di relazioni civili e commerciali per l’ONU) degli anni ’80. In versione moderna significa che durante il tempo di mediare – in Italia oggi tre mesi – non è possibile rivolgersi al giudice a meno che non siano in pericolo i diritti, ossia ci sia urgenza di provvedere.
§.678. Se la parola del mediatore viene sminuita, la fazione che inizia la sparatoria interrompe l’amicizia con il mediatore. (Se la sparatoria e la parola sminuita continuano dopo la mediazione, la situazione diventa confusa, le armi si incrociano e si combatte sul posto.).
Anche questa norma riprende i concetti precedenti, chi rompe la mediazione fa si che il conflitto venga dominato dall’entropia, cioè dal caos. È quello che succede quando le persone si alzano dal tavolo: dicono che si vendicheranno (cioè, che andranno in giudizio), ma sono spesso solo molto confusi e arrabbiati
“§.679. Le parole consuete della mediazione sono: ‘Lasciate le parole, uomini, io sono il mediatore! – Abbassate le armi, uomini, io sono il mediatore fino a che non raggiungiamo un accordo. – Abbassate le armi, perché il villaggio…, la bandiera… è il mediatore!'”
Questo passaggio sottolinea l’importanza del ruolo del mediatore nel risolvere i conflitti. Il mediatore è visto come una figura autorevole che può fermare la violenza e facilitare la comunicazione per raggiungere un accordo pacifico. Oggi il mediatore che pure mantiene questa funzione di pacificatore, non è così importante nella società: sarebbe opportuno che rappresentasse il popolo come il Giudice. Nel momento in cui la Direttiva 52/08 ha richiesto che ci sia equilibrio tra giudizio e mediazione avrebbero potuto investire il mediatore di una potestas pubblica, come spiega eloquentemente il Canone, ma purtroppo gli uomini di oggi non vedono nella mediazione e nel mediatore una figura sacrale come accadeva anche in Grecia con riferimento agli Araldi che sono stati i primi mediatori.
Il Canone spiega benissimo questa sacralità della mediazione con le norme seguenti
§.988. Quando i cuori delle famiglie dell’assassino e della vittima si riconciliano, bevono il sangue l’uno dell’altro.
§.989. Prendono due piccoli bicchieri, li riempiono a metà con acqua o grappa, uno dei presenti lega i due mignoli, li punge con un ago, facendo uscire una goccia di sangue in ciascun bicchiere.
§.990. Dopo aver mescolato il sangue o averlo agitato bene, scambiano i bicchieri, con le mani incrociate, e bevono il sangue l’uno dell’altro. Tra grandi festeggiamenti sparano colpi di fucile e diventano come fratelli nati dalla stessa madre e padre.
Nella Grecia antica la riconciliazione veniva celebrata in una processione religiosa. C’è chi sostiene non a caso che i Dardani Albanoi non siano altro che gli antichi Pelasgi che abitavano la Grecia prima degli Achei.
Oggi quando le parti si riconciliano io mi commuovo talvolta fino alle lacrime: non c’è nulla che faccia bene al cuore come il perdono reciproco dopo il riconoscimento.
§.680. Il mediatore prende impegni da entrambe le parti, stabilendo il giorno e il luogo in cui si riuniranno insieme per raggiungere un accordo.
Questo articolo esprime il fondamento della giustizia, ossia il contraddittorio.
Ogni parte deve poter esporre le proprie ragioni nel luogo e nel tempo indicato.
Tutte le definizioni di mediazione si rifanno a questa regola. Cito quella più accreditata dell’Uniform Mediation Act del 2003: “Per mediazione si intende <<qualunque processo nel quale un mediatore facilita la comunicazione e la negoziazione tra le parti allo scopo di assisterle a raggiungere un accordo volontario relativamente alla loro controversia>>”
Ne nostro ordinamento la mediazione è amministrata: ciò vuol dire che il tempo ed il luogo non vengono fissati dal mediatore, ma dall’Organismo di mediazione a cui il mediatore appartiene, ma la regola e che le parti devono sempre essere presenti e il mediatore può astenersi dal mediare solo per gravi motivi (come dice il Canone “prende impegni” nei confronti di tutte le parti).
Christian Wolff scrive a proposito di questa regola del Kanun:
“§ 923
Il mediatore è colui che si impegna a risolvere una controversia tra altri, senza avere il diritto di risolverla. L’atto con cui la composizione è realizzata o tentata da un terzo è chiamato mediazione.
§924
Poiché il mediatore compone una controversia tra altri, o almeno cerca di comporla, agisce per conto di entrambe le parti.”
§.681. Se il mediatore non riesce a risolvere la disputa, le garanzie di entrambe le fazioni vengono affidate agli uomini saggi, e il mediatore è sollevato e si libera dalla mediazione.
Questa norma esprime un concetto ormai diventato davvero universale, ossia che il mediatore non può giudicare perché conosce i segreti di entrambe le parti. Nella cultura albanese il caso passa agli arbitri, cioè agli anziani una volta pagato il pegno. Anche nel nostro ordinamento il mediatore non può avere contatto con le parti per due anni dalla mediazione e mai per la stessa questione. Chi voglia procedere deve andare davanti al giudice o agli arbitri.
Il mediatore deve poter sempre mantenere, in sostanza, la sua imparzialità.
Wolff scrive: “§ 925
Se una parte o entrambe concordano con il mediatore di intraprendere la mediazione, lo obbligano solo a intraprendere la mediazione, ma non gli conferiscono il diritto di risolvere la controversia. Il mediatore deve essere imparziale, ovvero lontano dal favore delle parti. Poiché il parziale, o favorevole alle parti, favorisce una parte più dell’altra, chi favorisce qualcuno lo preferisce agli altri nel promuovere la felicità; il favorevole alle parti decide sulla controversia non in base alla verità, ma in base all’utilità di colui che favorisce.”
§.682. La mediazione termina sempre con il sorgere o il tramontare del sole.
Questo principio ci mostra chiaramente quanto probabilmente il diritto romano abbia influenzato il Canone.
Per percorrere il corso degli onori i Romani dovevano conciliare dalle 6 del mattino alle 6 di sera chiunque bussasse alla loro porta. Stesso principio riguarda l’avo del Giudice di pace francese ossia l”’Uditore del castello sopra un ponte” che operava In Francia nel XIII secolo. È possibile che Scanderberg o Dukagjinit, durante i loro viaggi in Occidente siano venuti in contatto con questa tradizione. Si tenga però anche presente che l’Imperatore Giustiniano nacque vicino a Skopje: e dunque se si ritiene che, come alcuni sostengono, il Canone sa in realtà dell’Età del Bronzo[9] potrebbe aver influenzato la compilazione giustinianea.
Anche oggi le mediazioni si tengono in un arco di tempo similare: fa eccezione il Giappone ove si media anche di notte.
Per concludere vorrei aggiungere un particolare in relazione alle Vergini Giurate.
Non è un caso a mio modesto parere che il fenomeno si affermi contemporaneamente alla nascita del Canone secondo i desideri di Scanderberg che concede il perdono in alternativa alla vendetta.
Alcuni vedono le Vergini Giurate come uno strumento del patriarcato.
Ma io non sono pienamente d’accordo. Ci sono diversi casi in cui si può “giurare la verginità”, tagliarsi i capelli e vestirsi da uomo.
Certo possiamo parlare di patriarcato se i genitori hanno già deciso per la donna alla nascita. E così pure qualora la donna decida di accudire il padre rimasto solo, o quando morti tutti i maschi a lei competa di fare vendetta.
Ma ci sono Vergini Giurate anche per scelta autonoma, anche se questa scelta spesso deriva dal fatto che rifiutano un matrimonio oppure perché divengono religiose (anche se gli uomini accettano la verginità solo quando è necessitata).
In questo caso io vedo un bagliore di ritorno della società matrilineare nella quale abbiamo vissuto per quasi 46.000 prima dell’avvento del patriarcato (tra il III ed il II millennio).
La società matrilineare è quella che ha salvato l’umanità per tanti millenni e, secondo me, ritorna un poco nella cultura albanese quando la donna fa una scelta autonoma, anche se il Canone la considera come “un otre da riempire”; perché anche nella società albanese come in quella primitiva la donna è comunque multitasking e si occupa di tutte le relazioni domestiche.
Senza contare che l’offesa alla donna non può essere perdonata.
E dunque per il Canone la donna ha comunque un posto di grande rilievo (sposa, genitrice, partecipe dei funerali e appunto vergine giurata che riceve l’eredità, si comporta da uomo e può partecipare alle assemblee) in un mondo – quello in cui il Canone si affermò – in cui tutte le società avevano norme similari, essendosi diffuso ormai il patriacato.
Se ciò è vero allora si capisce perché in Albania nasce anche la mediazione moderna, quella pratica che si impose appunto nel mondo primitivo nella società matrilineare.
Non a caso il patriarcato porta con sé il giudizio che il Canone stigmatizza assumendo che tutti gli uomini sono uguali.
[1] Psychologia empirica (1732) e Psychologia rationalis (1734)
[2] Christiani Wolfii Jus naturae methodo scientifica pertractatum, pars prima [-octava], in qua obligationes et jura connata ex ipsa hominis essentia atque natura a priori demonstrantur et totius philosophiae moralis omnisque juris reliqui fundamenta solida jaciuntur, cum clarissimi auctoris vita, et nunc primum cum viri cl. de Vattel animadversionibus: Christiani Wolfii … Pars octava, sive ultima. De imperio publico seu jure civitatis in qua omne jus publicum universale demonstratur et verioris politicae inconcussa fundamenta ponuntur. Et nunc primum cum viri cl. de Vattel animadversionibus .., Volume 8
[3] §.886. Në kanû të Malevet të Shqypnis gjithsà djelm të lein, njehen të mirë e nuk veçohen njani prei tjetrit.
[4] §.887. Çmimi i jetës së nierit âsht nji, si per të mirin si edhè per të keqin.
[5] §.888. Seicilli mbahet i mirë edhè i thotë vedit: “Jam burrë” e i thonë: “A jé burrë!«
[6] §.518. Sei libero di mantenere il tuo onore, sei libero di disonorarti; §.519. Il canone dice: “Il volto annerito, se vuoi lavalo, se vuoi anneriscilo ancora di più.”.
[7] Che nel Kanun non serve a risarcire l’ira dell’offeso: è un istituto regolato scrupolosamente dalla legge allo scopo di difendere la vita umana e mantenere l’ordine nella società.
[8] §.691. Ndera i mirret burrit:
(omissis)
c) Me i prishë ndermjetsin a besen
[9] Tra il 2300 a.C. e il 950-800 a.C.

